giovedì 21 aprile 2022
Le storie poco conosciute dei Carabinieri impegnati nella Guerra di Liberazione. Il Tenente Colonnello Carbone: “Furono un punto di riferimento delle comunità locali"
Durante le 4 giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) i Carabinieri si distinsero nella difesa del capoluogo partenopeo. Il Capitano in congedo Antonio Penna guidò la popolazione contro la brutalità nazifascista

Durante le 4 giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) i Carabinieri si distinsero nella difesa del capoluogo partenopeo. Il Capitano in congedo Antonio Penna guidò la popolazione contro la brutalità nazifascista - Foto Direzione Beni Storici e Documentali del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri

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In prima linea per liberare l’Italia dal nazi-fasciamo all’indomani dell’8 settembre 1943, nei giorni in cui l’Italia viveva una situazione nazionale incerta e confusa. Sullo sfondo degli anni drammatici della Guerra di Liberazione uomini coraggiosi come il Brigadiere Alberto Araldi e il Maggiore Ettore Giovannini fecero la differenza. Figure poco conosciute di Carabinieri che a nord, a sud e nelle isole rischiarono la vita per la libertà di una nazione allo sbando.

“Allora come oggi, l’Arma dei Carabinieri ha una dislocazione capillare sul territorio nazionale e dunque si deve agli ufficiali, ai sottufficiali, agli appuntati e Carabinieri e alla presenza delle stazioni dell’Arma il difficilissimo compito di affrontare gli occupanti nazi-fascisti – spiega ad Avvenire il Tenente Colonnello Flavio Carbone, storico militare e archivista, autore del podcast dedicato alla Storia dell’Arma dei Carabinieri -. E lo fecero senza clamori, con l’unico obiettivo di salvaguardare la vita di uomini e donne”.

Il brigadiere Alberto Araldi con l'uniforme dei carabinieri adottata a partire dal 1933. Araldi fu fucilato dai nazifascisti a Piacenza il 6 febbraio 1945

Il brigadiere Alberto Araldi con l'uniforme dei carabinieri adottata a partire dal 1933. Araldi fu fucilato dai nazifascisti a Piacenza il 6 febbraio 1945 - Foto Direzione Beni Storici e Documentali del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri

Una scelta difficilissima, quella compiuta dai due uomini “con gli alamari” come li definisce Carbone: “Il primo, il trentunenne Brigadiere piacentino Araldi, con l’occupazione dell’Italia da parte tedesca e la costituzione dello stato fantoccio della Repubblica Sociale Italiana, si dà alla macchia e organizza un nucleo di combattimento sull’Appennino piacentino nell’ambito della divisione partigiana Piacenza agli ordini del Tenente dei Carabinieri Fausto Cossu – sottolinea Carbone -. Diventato leggendario per la sua capacità organizzativa e per i colpi di mano che avevano messo in crisi il dispositivo dei nazi-fascisti, Araldi fu catturato per delazione mentre cercava di prendere un fascista piacentino. Inutile dire che subì un processo farsa che lo portò alla morte per fucilazione il 6 febbraio 1945”. La motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare che gli fu conferita alla memoria così lo descrive: “Patriota di grande fede e di purissime doti, coraggioso, indomito e valoroso comandante partigiano”.

Il maggiore Giovannini con i gradi di tenente olonnello dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946

Il maggiore Giovannini con i gradi di tenente olonnello dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 - Foto Direzione Beni Storici e Documentali del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri

Il secondo, il quarantaseienne trapanese Maggiore Giovannini “all’atto dell’armistizio riesce a negoziare con i tedeschi il rientro del XIV Battaglione Carabinieri Mobilitato dalla Slovenia all’Italia, dando mandato ai suoi uomini di ritrovarsi ognuno con mezzi di fortuna in Lombardia dove a Milano all’inizio del 1944 costituisce la Banda Gerolamo. Con i suoi ufficiali, sottufficiali e Carabinieri – spiega Carbone - egli riesce a mantenere in servizio molti uomini nella Guardia Nazionale Repubblicana, ove i militari dell’Arma erano stati fatti confluire con esiti disastrosi insieme alla Polizia dell’Africa Italiana e sotto il controllo dei fascisti della disciolta Milizia Nazionale per la Sicurezza Nazionale”.

In questo modo, i Carabinieri doppiogiochisti riuscirono a garantire un servizio informativo di prim’ordine in grado di tenere al corrente gli Alleati di quanto stava accadendo a Milano e in Lombardia in quei drammatici mesi sino alla Liberazione. “Con l’insurrezione generale proclamata proprio il 25 aprile 1945 dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI), la Banda Gerolamo partecipa in armi alla cattura delle caserme dei Carabinieri che erano state occupate da fascisti e tedeschi riuscendo ad averne ragione – aggiunge lo storico militare ed archivista -. Sono immediatamente ripristinati i servizi di pattugliamento da parte dei Carabinieri che da Milano estendono progressivamente il controllo del territorio su tutta la Lombardia. Si arriva nei mesi successivi alla riorganizzazione di tutta l’Arma con lo scopo di ritornare a una nuova normalità”.

Giovannini continuò la sua carriera sino al congedo dopo aver fatto ottenere la qualifica di “Partigiano Combattente” al suo personale con cui aveva condiviso le drammatiche fasi della lotta clandestina.

“Due uomini che rappresentano bene uno spaccato dell’Arma – rileva l’ufficiale, tra gli esperti italiani più importanti della storia dell’Arma -. Un giovane sottufficiale settentrionale che combatte nella sua provincia di origine e un più anziano ufficiale meridionale che organizza e coordina un’unità clandestina di Carabinieri in Lombardia. Credo che possano rappresentare bene due dei tantissimi Carabinieri, decorati e non, in servizio e in congedo, che non ebbero alcuna esitazione: essi sapevano qual era il loro dovere al servizio dei cittadini”.

Uomini che resero una testimonianza forte e incisiva per le azioni che hanno compiuto da non dimenticare per fare memoria di quanto accaduto dal 1943 al 1945, soprattutto per le giovani generazioni: “Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato nel 2020, in occasione proprio del 25 aprile, che fare memoria della Resistenza, della lotta di Liberazione, di quelle pagine decisive della nostra storia, dei coraggiosi che vi ebbero parte, resistendo all’oppressione, rischiando per la libertà di tutti, significa ribadire i valori di libertà, giustizia e coesione sociale, che ne furono alla base, sentendoci uniti intorno al Tricolore – ricorda Carbone citando le parole di Mattarella-. Le parole della più alta carica dello Stato rappresentano perfettamente quanto fecero migliaia di Carabinieri a favore di uomini e donne affidati da quello Stato alla loro tutela. Il carisma della fedeltà, da sempre immanente nella quotidianità dei Carabinieri, costituisce il cardine su cui poggia il dovere intimamente sentito di difendere la propria comunità dalla follia nazifascista anche a costo di pagare il prezzo più alto – prosegue Carbone -. In quei difficili mesi, i Carabinieri di ogni grado hanno rappresentato un punto di riferimento delle comunità locali insieme ai tanti parroci che hanno rischiato e sacrificato la propria vita”. Un richiamo che Mattarella ha fatto più di una volta ribadendo come il 25 aprile si celebra “la Festa della libertà di tutti gli italiani”.

In questo contesto “i Carabinieri seppero garantire il regolare svolgimento della grande Festa della Liberazione – fa notare Carbone -. In questo senso, mi piace ricordare un passo della circolare emanata dal Comando Generale il 10 maggio 1946 a pochissimi giorni dal referendum che avrebbe cambiato la forma di Stato. Il Comandante Generale Brunetto Brunetti così si rivolgeva ai propri uomini: Apolitici per tendenza e per tradizione, fedeli al loro patrimonio morale che si ricollega ai fasti del Risorgimento Italiano, autentici figli del popolo preposti alla tutela delle leggi e dei cittadini ed al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica”.

Con una presenza silenziosa e discreta furono gli stessi Carabinieri, all’indomani della fine delle ostilità, conclude Carbone “che svolsero quel presidio del territorio da Nord a Sud facilitando la difficile ricostruzione del Paese o meglio di ciò che rimaneva dopo un ventennio di dittatura e il dramma del conflitto mondiale. Dobbiamo anche al loro servizio spesso dimenticato la nascita della nostra Carta costituzionale e la difesa di quei valori morali e civili di portata universale ivi contenuti. Per tutto questo è importante non dimenticare”.

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