giovedì 24 aprile 2025
Due giornali: il Guardasigilli avrebbe bloccato il mandato della Corte penale internazionale. Nordio: per eseguirlo deve entrare in Italia. Le opposizioni: «Una scelta politica»
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. - Ansa

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Non si sono ancora esaurite le implicazioni del caso Almasri che già un nuovo “giallo” politico contribuisce a increspare ulteriormente le relazioni fra la Corte penale internazionale e il governo italiano. Stavolta riguarda il più noto dei ricercati a livello internazionale, il presidente russo Vladimir Putin, sul cui capo pende appunto un mandato di arresto spiccato dalla Corte dell’Aja per crimini contro l’umanità commessi in Ucraina. Mandato che però in Italia, e qui sta il punto da chiarire, non potrebbe al momento essere eseguito (sempre che Putin decidesse di uscire dalla Russia e venire nel BelPaese, ovviamente) perché il ministero della Giustizia non lo ha ancora trasmesso alla Procura generale di Roma affinché lo inoltrasse alla Corte d’Appello, titolata a renderlo esecutivo.

Nordio: mandato fermo finché Putin non viene in Italia

Il caso viene sollevato al mattino dal Corriere della Sera e da Repubblica, che segnalano come il mandato emesso dalla Cpi attualmente non abbia efficacia in Italia a causa della mancata tramissione degli atti ai magistrati capitolini da parte del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Ricostruzioni alle quali tuttavia il Guardasigilli, nel primo pomeriggio, ribatte con una nota stringata in cui argomenta le proprie ragioni: «Il Presidente russo Vladimir Putin, nei cui confronti vi è una richiesta della Corte penale internazionale, non è mai transitato in territorio italiano, né mai si è avuta notizia che fosse in procinto di farvi ingresso - si legge nel comunicato di via Arenula -. La presenza della persona o il suo imminente ingresso nel territorio dello Stato sono, infatti condizioni essenziali per i provvedimenti conseguenti». Se ne desume come, effettivamente, il mandato sia al momento “congelato” o comunque non sia stato trasmesso dal ministro alla magistratura, per ragioni che Nordio ritiene essenziali ai fini del proseguimento della procedura.

Le opposizioni: il governo spieghi subito alle Camere

Non la pensano così le forze politiche di opposizione, che dopo aver appreso della notizia, protestano sonoramente, invitando il governo a fornire spiegazioni in Parlamento: se è vero che il ministro non ha trasmesso la documentazione della Corte penale internazionale, si chiede il Pd, «perché non lo ha fatto? Ed è vero cha la decisione è stata condivisa anche dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal ministro degli Esteri Antonio Tajani?.E perché, visti gli obblighi internazionali dell’Italia derivanti dallo Statuto di Roma della Cpi?». I dem lamentano il rischio che tale atteggiamento «comprometta la credibilità dell’Italia nel sistema di giustizia penale internazionale» e chiedono - con un’interpellanza urgente indirizzata appunto alla premier, al ministro Tajani e al Guardasigilli - di rispondere ai suddetti interrogativi. Si fa sentire anche il segretario di +Europa, Riccardo Magi: «Era già accaduto con Almasri, si ripete con Putin?», incalza, stigmatizzando una «scelta politica gravissima che getta un’ombra ancora più grande, dopo il caso del torturatore libico, sulla credibilità e sull’affidabilità internazionale del governo Meloni». Mentre Italia Viva, con il senatore Enrico Borghi, invita Nordio a «destarsi dal torpore e dall’ignavia cavillesca».

Nuove frizioni con la Corte penale internazionale?

In attesa che il governo valuti come replicare alle richieste delle opposizioni, resta comunque il dubbio che la vicenda possa far aumentare le frizioni sotto traccia sull’asse Roma-L’Aja, innescate dal caso Almasri (non ancora chiuso, visto che l’esecutivo italiano ha chiesto ulteriore tempo per rispondere alle domande della Corte sul perché il torturatore libico, dopo l’arresto a Torino su mandato della Corte, sia stato rilasciato e riportato a Tripoli con un volo di Stato). Anche in quel caso, fu il dicastero di via Arenula a non trasmettere ai giudici la documentazione dell’Aja, determinando di fatto la scarcerazione. Nel dossier Putin, potrebbe giocare un peso ancor più rilevante la volontà di non deteriorare ulteriormente le relazioni diplomatiche con Mosca, così come avvenuto per un altro mandato d’arresto dell’Aja tuttora fermo in via Arenula: quello a carico del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, accusato per i crimini di guerra commessi a Gaza. Capi di Stato e di governo contro cui Palazzo Chigi potrebbe aver deciso di non voler procedere, almeno finché saranno in carica.

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