Lettere dal carcere: i sogni e le speranza dietro le sbarre
di Giorgio Paolucci (a cura di)
In occasione del Giubileo dei detenuti riceviamo e pubblichiamo i messaggi di chi potrà andare a Roma e di chi invece potrà partecipare solo da lontano

In vista del Giubileo dei detenuti che verrà celebrato oggi, domenica 14 dicembre, che porterà a Roma seimila pellegrini e che avrà il suo culmine nella Messa presieduta alle 10 da Leone XIV nella Basilica di San Pietro, molti messaggi sono arrivati alla redazione di Avvenire. Vengono sia da parte di chi potrà recarsi nell’Urbe, sia da quanti, pur dovendo restare in carcere, hanno voluto testimoniare come stanno vivendo questo “tempo forte”. Alcuni nomi delle testimonianza che seguono sono di fantasia. Sul sito www.avvenire.it in questi giorni continueremo la pubblicazione dei loro messaggi, che restituiscono uno spaccato significativo e sorprendente dell’umanità che vibra in quei luoghi. Chi vuole scrivere ad Avvenire può farlo mandando una mail a lettere@avvenire.it.
Ho imparato ad affidarmi
Quando sono entrato in carcere ero molto chiuso, convinto da ideali sbagliati, arrabbiato col mondo, egoista e poco tollerante, senza speranza e senza rendermi conto del male seminato attorno a me. In poco tempo, la consapevolezza, la solitudine e il dolore quotidiano, la tristezza per tutte le storie di chi come me ha sbagliato… la condivisione e l'altruismo che si trova nei posti di sofferenza è grande... e grande è il suo potere... Ho intrapreso il mio percorso, oggi sono un'altra persona. Ho imparato a fidarmi e affidarmi, ho riacquistato fiducia in me e ho recuperato i rapporti affettivi regalandomi speranza e futuro. Tante persone si spendono quotidianamente per aiutarmi e aiutare chi come me ha attraversato momenti bui. Loro mi accompagnano nel Giubileo, mi aiutano a resistere nei giorni pesanti, ad immaginare una possibilità diversa, a rialzarmi quando cado ma soprattutto a sentirmi ancora parte della comunità.
Andrea
Un’occasione per rimettermi in gioco
Il carcere è un’esperienza devastante, una vita che consiste in una realtà di obblighi e privazioni, la pena che si vive tutti i giorni porta le relazioni stesse ad essere imprigionate in questa situazione. La fede è stata per me un aiuto fondamentale, ho compreso che dietro a ogni porta chiusa c’è sempre una vita che aspetta e in questo sono stato supportato, incoraggiato dai volontari che come angeli custodi vengono a trovarci, mi hanno aiutato a comprendere ancora di più i valori della pietà, della carità, del dono e dell’incontro. A Roma andrò con spirito recettivo all’incontro, vedo questa opportunità come un atto liberatorio e riparatorio, un gesto che vuole permettere il confronto e la riconciliazione. Sarà un momento prezioso che desidero cogliere per ritrovare la relazione con me stesso e con gli altri. Anticamente il Giubileo era un momento di riconciliazione tra gli uomini, la terra e Dio e avere una simile opportunità da detenuto è per me un’emozione indescrivibile. Ho trascorso due terzi della vita dietro le sbarre, dove posso dire quasi di essere nato dato che in carcere ho fatto finanche l’allattamento, questo momento è qualcosa di inestimabile, desidero soprattutto vedere tutto ciò come un ulteriore modo per rimettermi in gioco.
Raffaele Stolder, Casa di reclusione di Opera (Milano)
Un viaggio materiale e spirituale
Il viaggio verso Roma rispecchia il mio viaggio interiore, materiale e spirituale. E’ come se fossi in cammino verso Santiago di Compostela, un luogo che ho visto tante volte in televisione durante la mia lunga detenzione e dove sogno di andare un giorno. La mia vita è un cammino verso la meta, voglio farmi pellegrino anche io. Il cammino dell'amore conduce alla trasparenza dell'anima e alla riconciliazione interiore.
Salvatore Calafato, Casa di reclusione di Opera (Milano)
In cosa posso sperare?
La speranza non tradisce. Frase forte, ottimo titolo per il Giubileo, ma... C'è sempre un "ma". Quando il dolore bussa, quando si è coinvolti nella sofferenza, vale ancora? In carcere da molti anni, con una prospettiva ancora più lunga, in cosa posso sperare? Sì, ho percepito l'amore di chi mi è stato vicino, ho sentito la solidarietà delle presenze discrete. Ma ero e sono impotente di fronte all'ineluttabile. E se questo valesse anche per la Parola per eccellenza, quella di Dio? So bene che in quella Parola c'è una luce di speranza, e mi sono spesso ripetuto che con le sue Parole Dio ha assicurato la Sua presenza e garantito un cammino di consolazione, Dio parlando è vicino, è fedele. Ma riconoscere tutto ciò nella quotidianità è un combattimento contro la più grande tentazione, quella di lasciar perdere, di rinunciare. Invece, un anno così spinge a dire che no, dovremmo - tutti - renderci testimoni di quella Speranza certa, che non tradisce… e dunque anche io, qua dentro dove vivo.
Alessandro Cozzi, Casa di reclusione di Bollate (Milano)
Chiamato a un percorso di rinascita
Considero la partecipazione al Giubileo un grande passo verso la speranza e la misericordia, valori che rappresentano la strada più autentica per giungere alla redenzione e a un futuro migliore. Mi sento chiamato a un percorso di rinascita, il mio cammino non si è mai limitato a una semplice permanenza dietro le sbarre, ma è un cammino interiore volto a riaffermare la mia dignità. Ho sempre difeso ciò che non potrà mai essermi tolto: la mia innocenza. Mi è stata concessa la possibilità di vedere il Santo Padre anche solo da lontano, e questo ha rafforzato in me il senso di comunità e appartenenza.
Nicola P., Casa di reclusione di Augusta
Una opportunità di riconciliazione
L’apertura dell’anno giubilare nel nostro istituto penitenziario è stata officiata il 6 febbraio da monsignor Michele Fusco, vescovo della diocesi di Sulmona-Valva che consegnandoci la “lampada della speranza” ha invitato noi detenuti ad aprire i cuori al Signore e ad avere fede in Lui accogliendolo nelle nostre vite. Tanti gli incontri e le occasioni di approfondimento organizzati dal cappellano padre Lorenzo Marcucci per vivere questa importante opportunità di conversione e di riconciliazione. E’ stato un tempo di riflessione dedicato a riguardare la propria esistenza, per discernere il bene dal male fatto, per comprendere limiti e debolezze, così da ricominciare a vivere in pienezza mettendo al centro i valori e gli insegnamenti di Gesù. Riavvicinarmi a Dio, credere nella sua misericordia ha arricchito la mia vita e mi ha ridato serenità, ha alimentato la speranza di poter essere perdonato per il male fatto, e di poter essere riaccolto da Lui.
Lorenzo, Casa di reclusione di Sulmona
Il mio cuore è nuovo
Ho deciso di partecipare al Giubileo perché desidero con tutto il cuore il perdono cristiano per le mie colpe. Fin da piccoli abbiamo fame di cibo, come io da molto tempo ho fame di riscatto sociale perché il mio cuore è nuovo rispetto al terribile passato. Il Giubileo rappresenta speranza che vuol dire salvare l’essenziale, salvare ciò che permette alla vita di risorgere dopo ogni morte e distruzione di quello che c’era attorno a noi, dopo che tutto sembrava sprofondare. La speranza è alito di vita, compagnia, luce dopo le tenebre, ma più di ogni cosa rappresenta tiepido scirocco, profumo di primavera e sentiero di pace.
Dario, Casa di reclusione di Sulmona
Con gli occhi spalancati
Il Giubileo è una festa, la festa è motivo di gioia ed è proprio così che sto vivendo questo tempo da detenuto. Sono incarcerato da giugno ma nonostante ciò mi sento libero, ricco di speranza anche se colpevole. Il mio presente è pieno di doni: le persone che mi sono vicine, il cappellano, le lettere che ricevo e l’amore che vivo mi rendono ricco nonostante la prigionia che però non riesce a contenere la mia felicità. Ogni cosa mi meraviglia e vivo come se fossi un bambino, con gli occhi spalancati di fronte a una giornata di sole, alle vette innevate, alla lettura di monologhi tratti da film letti da compagni che con fatica leggono, all’autorizzazione di una telefonata straordinaria, alle carezze di una mamma, al bacio di una moglie e allo sguardo innamorato di una figlia. Quanto prima scorreva via, oggi è un dono che assapori senza trattenerlo, non tuo, ma regalato senza averlo meritato, tanta è la gioia che vuoi essere disponibile per divenire strumento della stessa gioia che hai ricevuto.
Pietro, Casa di reclusione di Sulmona
Ho perso la speranza
Ciao Papa Leone, come stai? Mi chiamo Omar sono di Cagliari ho 37 anni e di professione faccio il cuoco. Sono detenuto da un anno e 3 mesi, la mia pena è di 4 anni e 4 mesi, è la prima volta in carcere, sicuramente anche l’ultima. Nella mia vita ho avuto pochi alti ma tanti bassi e quest’ultimo mi sta mettendo a dura prova soprattutto per il fatto che non vedo la luce in fondo a questo tunnel. Qui in carcere sto impegnando le giornate tra lavoro e scuola, sono responsabile della biblioteca e sto frequentando la quarta superiore alberghiera, canto nel coro della chiesa e frequento il corso sinodale dove trattiamo tanti argomenti della vita carceraria e non. Purtroppo da tanti anni ho perso la speranza di credere in qualcosa, visto che in questi ultimi anni mi sono visto portare via la mamma morta a gennaio del 2024 e poi sono stato catapultato in questa realtà che non mi appartiene. Sto cercando di pregare tutti i giorni sperando che qualcosa cambi, ma alla fine la realtà dei fatti è tutta un’altra cosa.
Omar, Casa di reclusione di Uta (Cagliari)
Siamo anche noi figli di Dio?
Caro Papa Leone, la ringrazio per l’interesse che spesso ci dimostra parlando di noi. Nel profondo pozzo buio in cui ci troviamo, dimenticati e denigrati da tutti, le sue parole nei nostri confronti sono una luce di speranza. Qui dentro la fede vacilla spesso, a volte si pensa di farla finita perché da quel pozzo mai nessuno ti aiuterà ad uscire. Poi però qualcosa cambia la prospettiva. Frequentando la cappella del carcere e il Sinodo ti accorgi dell’umanità e della fratellanza sia tra i detenuti sia di quella espressa da rappresentanti della Chiesa e dai volontari che ogni settimana con la loro presenza ci dimostrano che gli “ultimi” non sono dimenticati proprio da tutti. Ci sono troppe persone ammassate in poco spazio, un avvilimento per l’uomo contro cui ogni giorno dobbiamo combattere, le carceri sono piene ma non tutti sono colpevoli della condanna che gli è stata inflitta. Quello che chiediamo non è di uscire, a questo ci pensano gli avvocati, ma vorremmo vivere una carcerazione più umana e non così degradante, non siamo anche noi figli di Dio? Se chi ci giudica vivesse anche solo per sei mesi quello che viviamo noi ogni giorno, ci penserebbe due volte prima di riempire le carceri in maniera indiscriminata. Stanno mancando quei valori cristiani che ho imparato nella mia parrocchia e che da piccolo pensavo che tutti servissero come stile di vita. Manca l’umanità, la carità, l’amore e la giustizia lei. Papa Leone, lei è l’unico nostro riferimento, venga a trovarci per dare un messaggio forte, e forse per il suo arrivo l’amministrazione vorrà fare bella figura e noi carcerati avremo acqua calda nelle docce, riscaldamenti accesi, un pasto che sia degno di questo nome, e una sanità che si prenda davvero cura delle persone ammalate e non le lasci soffrire per anni, come accade adesso qui.
Massimo Coviello, Casa di reclusione di Uta (Cagliari)
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