Lavorare fra un quarto di secolo, in mezzo a robot e agenti IA
Due fattori saranno determinanti nel trasformare l’occupazione nel nostro Paese nei prossimi 25 anni: la diminuzione della forza lavoro e la pervasività dell’Intelligenza Artificiale

«È il 2054: il lavoro per come lo conoscevamo è scomparso. Dedichiamo al lavoro non più dell’1% del nostro tempo di vita, gli uffici sono spariti, abbiamo il Learning Monday con la formazione obbligatoria di lunedì per tutta la vita e a sostenerci c’è il Reddito di base incondizionato finanziato dall’uso delle infrastrutture e dall’autosovranità dei cittadini. Non esistono più i camerieri, gli autisti, i magazzinieri, i cassieri. Gli impiegati delle banche, che operano su block-chain, sono diventati crypto-consultant per la clientela anziana. Il vero lavoro diffuso è occuparsi degli altri e i lavoratori migliori e meglio pagati sono quelli che riescono a unire l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale con l’empatia verso le persone. Siamo entrati nell’era dell’immaginazione…».
Il video della Casaleggio & associati, pubblicato nel 2019, è decisamente immaginifico, soprattutto riguardo all’organizzazione del sistema politico-sociale (altro che Reddito di base incondizionato, negli ultimi anni in Italia è stato cancellato perfino il Reddito di cittadinanza universale per i più poveri…). E probabilmente stima dei tempi di trasformazione troppo accelerati. Non è lontano dal vero, però, nell’indicare la direzione dell’evoluzione dei sistemi produttivi avanzati, che saranno sempre più governati dall’Intelligenza Artificiale e caratterizzati dal ricorso a robot e macchine automatiche. Uno scenario nel quale il lavoro umano sicuramente richiederà minore fatica fisica e sarà ridotto quanto a tempo complessivo di impegno; la formazione dovrà avere un ruolo maggiore e ad essere insostituibili o quasi saranno la creatività e la cura delle persone.
Il crollo della forza lavoro
Ma, al di là di queste tendenze generali, immaginare come sarà l’Italia del lavoro nel 2050 è tutt’altro che facile, somiglia più allo scrutare nella sfera di cristallo che non ai calcoli di una scienza esatta. Se non per un aspetto, tutt’altro che secondario: il fattore demografico.Il mercato del lavoro in Italia nel 2050, infatti, sarà fortemente condizionato dalla significativa riduzione della forza lavoro, con un rapporto tra pensionati e lavoratori che potrebbe raggiungere un livello di 1 a 1, secondo l’Inapp. Questo scenario è dovuto all’invecchiamento della popolazione e al calo delle nascite, con conseguenze negative sul Pil italiano.
La stessa Banca d’Italia avverte che, se non ci sarà un’accelerazione nell’aumento del tasso di partecipazione delle donne e dei giovani al mercato del lavoro, «a parità di tutte le altre condizioni», il Pil calerà «di quasi l’11% da qui al 2040, dell’8% in termini pro capite», ha avvertito il governatore Fabio Panetta nelle considerazioni finali di quest’anno.
Conferma l’Ocse nel suo ultimo Outlook sull’occupazione: «Tra il 2023 e il 2060, la popolazione in età lavorativa in Italia diminuirà del 34%, oltre 4 volte l’8% previsto in media nei Paesi dell’Ocse». Si tratta di circa 12 milioni di persone in meno fra occupati e no, con una riduzione del Pil pro-capite dello 0,5% annuo per un totale di meno 22% al 2060. «Le stime sono state calcolate a politiche costanti – spiega ad Avvenire Andrea Bassanini, economista senior dell’Ocse –. Anche ipotizzando una maggiore partecipazione della popolazione in età da lavoro il problema demografico così drammatico non viene superato. Tuttavia, il potenziale di un maggior coinvolgimento di donne e giovani nel mercato del lavoro esiste per l’Italia e può determinare uno 0,4% di crescita economica in più. Così pure per quanto riguarda gli over 60, che oggi faticano a trovare occupazioni adeguate alla loro età e capacità. Un allungamento dell’età lavorativa e un miglior impiego di questa porzione di popolazione potrebbe determinare un ulteriore 0,5% di crescita economica. Certo, mobilitare questo capitale umano necessita di interventi, in termini di migliori servizi da offrire o incentivi a rimandare il pensionamento, che comportano una spesa e dunque occorre poi valutare il rapporto costi/benefici».
Discorso simile per quanto riguarda l’apporto dell’immigrazione nel nostro Paese, calcolata ai (modesti) livelli attuali. Anche in questo caso, una migliore integrazione degli stranieri nel nostro mercato del lavoro per l’Ocse “varrebbe” circa uno 0,2% di crescita aggiuntiva.
Fin qui le cifre della forza lavoro, stimabili in base ai dati demografici. Più difficile comprendere quale sarà lo sviluppo economico dell’Italia nei prossimi decenni e di conseguenza quali occupazioni saranno prevalenti nel nostro Paese.
Quali lavori (r)esisteranno?
Già oggi, però, la produzione industriale va calando e sono diverse le situazioni di crisi, di chiusure di stabilimenti o di cessione di proprietà e trasferimento all’estero che segnalano il declino industriale del nostro Paese. In parallelo, poi, aumenta l’automazione e lo sviluppo dei servizi generalmente intesi. Il lavoro operaio, tradizionalmente inteso, dunque difficilmente si espanderà. Così come quello di magazzinieri, addetti alle pulizie, commessi, assieme ad autisti, tassisti, camionisti. Funzioni che un futuro non lontano saranno svolte da macchine automatiche.
L’incognita maggiore, però, è rappresentata dall’impatto della diffusione dell’Intelligenza Artificiale nelle organizzazioni aziendali, a tutti i livelli, in particolare quelli impiegatizi. Una pervasività che metterà “a rischio” operatori di call center, contabili e tutta la prima linea di impiegati nelle segreterie, nel marketing, nei servizi legali, nell’amministrazione in genere. Con quali conseguenze sul piano occupazionale?
«Storicamente tutte le rivoluzioni tecnologiche hanno creato più posti di lavoro di quanti ne hanno “eliminati”, rendendoli obsoleti. E così dovrebbe essere anche per la diffusione dell’IA – rassicura Bassanini –. Questo non esclude, però, che nel breve periodo si presentino problemi di aggiustamento per domanda e offerta di lavoro, con una maggiore disoccupazione nella fase di transizione». Sempre l’Ocse aveva già calcolato lo scorso anno che in Italia il 14% dei posti di lavoro attuali è ad alto rischio di automazione – cioè ad essere sostituito dalle macchine -, mentre circa il 32% subirà cambiamenti significativi, sia nelle funzioni svolte che nelle competenze richieste.
Più promettente sembra invece il futuro per tutte le professioni riguardanti la cura o che comunque prevedono un contatto diretto tra le persone. A cominciare da medici, infermieri e caregiver in genere, terapeuti e psicologi, ma anche insegnanti, formatori, mediatori, coordinatori di comunità. Fondamentale, ovviamente, sarà la capacità di adattarsi al cambiamento, grazie a una formazione continua. Quanto all’istruzione, accanto allo sviluppo delle materie scientifiche, anche le discipline umanistiche dovrebbero ritrovare un loro ruolo importante per ”umanizzare” l’approccio di macchine e algoritmi, rendere più profondi e culturalmente elevati i rapporti personali, sfidare l’Intelligenza Artificiale sul piano della creatività.
L’"autosovranità” profetizzata dalla Casaleggio & associati non si sa se verrà mai realizzata e come. Di certo, a fronte di un’automazione sempre più pervasiva, intelligente e generativa, la più grande risorsa che avremo da giocarci sarà la nostra umanità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






