La cura di villaggio in villaggio: in India le infermiere fantasma

Le operatrici sociosanitarie e la fatica del lavoro nelle comunità rurali e l’incuranza del governo che nega tutele, diritti e paghe sufficienti, nonostante siano la colonna portante della sanità
July 6, 2025
Dare voce alle donne. Quando e dove non ne hanno. Perché della loro condizione ancora troppo svantaggiata si sappia e si parli. Dal Libano all’Iraq, dal Messico alla Nigeria, dall’Afghanistan alla Somalia, dall’India al Perù: sono 10 le reti indipendenti di giornaliste che hanno aderito alla nostra proposta “Donne senza frontiere”, il progetto di Avvenire per l’8 marzo 2025. A partire da quella data pubblichiamo ogni 15 giorni un reportage di ciascuna delle reti coinvolte. Questa puntata è stata realizzata dalla rete di giornalismo rurale indiano Khabar Lahariya.
Distretto di Mahoba, Uttar Pradesh Alle cinque del mattino, nel villaggio di Paswara, distretto di Mahoba, “Asha Shukla” è già in movimento. Non è una semplice operatrice socio-sanitaria: è la presidente distrettuale delle operatrici Asha di Mahoba e lavora nella sanità pubblica da oltre un decennio. La sua giornata inizia con una lista di donne incinte da visitare e termina ben oltre il tramonto, dopo aver accompagnato pazienti, monitorato neonati e risolto controversie tra abitanti del villaggio e cliniche. «Siamo sempre le prime ad arrivare e le ultime ad andare via – dice –. Ma quando chiediamo diritti o riconoscimenti, ci rispondono che siamo solo volontarie». In India, e in tutto l’Uttar Pradesh, donne “Asha Shukla” rappresentano la base della sanità rurale, prive di supporto o finanziamenti ma dotate di pura resistenza. Sono infermiere, educatrici, procacciatrici di ambulanze, raccoglitrici di dati sanitari e soccorritrici d’emergenza: tutto in una sola persona. Il sistema sanitario rurale indiano si basa su oltre un milione di operatrici Asha e coprono circa il 75% della popolazione rurale del Paese. Nonostante il loro fondamentale contributo, sono costantemente sottovalutate: mal pagate e private di sicurezza lavorativa, reddito fisso o protezione di base. Questa inchiesta racconta le vite di cinque operatrici Asha provenienti da diverse zone dell’Uttar Pradesh. Insieme, testimoniano una verità condivisa: i risultati sanitari dell’India poggiano sul lavoro invisibile, non valorizzato e sfruttato delle donne.
Gli smartphone in dotazione delle infermiere rurali riportano nella homepage il ritratto del primo ministro indiano Narendra Modi e del governatore dell'Utter Pradesh Yogi Adityanath - Sejal, Khabar Lahariya
Gli smartphone in dotazione delle infermiere rurali riportano nella homepage il ritratto del primo ministro indiano Narendra Modi e del governatore dell'Utter Pradesh Yogi Adityanath - Sejal, Khabar Lahariya
Chi sono le operatrici socio-sanitarie Asha
Le Asha, ovvero operatrici socio-sanitarie accreditate, sono state introdotte nel 2005 nell’ambito della Missione nazionale per la salute rurale (oggi parte della Missione nazionale per la salute, Nhm). L’idea era che fossero donne della comunità incaricate di collegare le famiglie rurali ai servizi sanitari governativi. Ogni operatrice è responsabile di un bacino demografico compreso tra 1.000 e 2.500 persone, a seconda della regione. Il loro compito è promuovere la salute materna e infantile, monitorare le vaccinazioni, accompagnare i pazienti in ospedale e garantire che le comunità siano istruite su igiene, nutrizione e prevenzione delle malattie. «Spesso finisco per spendere soldi miei per portare i pazienti in ospedale o comprare loro medicinali. Nessuno ci rimborsa, né per il trasporto, né per il trattamento. È come se il sistema si aspettasse che pagassimo per fare il nostro lavoro», sottolinea una di loro. Le Asha costituiscono la più grande forza lavoro sanitaria comunitaria del mondo. Eppure sono ancora classificate come “volontarie”, il che significa nessun salario garantito, nessun beneficio, nessuna tutela come lavoratrici.
A Chitrakoot, Renu Pandey, 45 anni, lavora come operatrice socio- sanitaria dal 2006 e copre una popolazione di 1.122 persone. Si sveglia alle cinque del mattino e incontra ogni giorno tra le 20 e le 25 donne. Alcune hanno bisogno di controlli prenatali, altre sono madri con neonati. Monitora il peso dei bambini, controlla la febbre, segue la guarigione da malattie e consegna farmaci ai pazienti cronici con tubercolosi. «A volte dobbiamo assistere a parti di notte. Andiamo da sole, camminando nel buio. Abbiamo paura, ma non c’è nessuno che ci aiuti», racconta. «Non abbiamo dispositivi di protezione, né trasporto – aggiunge –. Se un paziente con tubercolosi salta una dose, la colpa è nostra». Sunita Soni, un’altra operatrice di Chitrakoot, ha 44 anni. Anche la sua giornata è fatta di lunghe ore, camminate continue e documentazione infinita. «Non abbiamo scooter, né strade decenti. Portiamo i nostri registri, le nostre borse sotto il sole cocente. Eppure, alcune persone ci gridano contro dicendo che non facciamo abbastanza».
Kanchan, 38 anni, lavora nel villaggio di Ahmedabad, nel sotto-distretto di Rudauli. Viaggia attraverso vicoli stretti per raggiungere case isolate. «Se qualcuno ha la febbre, chiamano noi. Se una donna incinta deve essere portata in ospedale, dobbiamo organizzare tutto noi. Anche il trasporto », argomenta. Geeta Devi, che lavora nel villaggio di Basudevpur, sotto- distretto di Bikaapur, afferma che il suo ruolo è fondamentale ma scarsamente riconosciuto. «Le persone nel villaggio si fidano più di noi che degli ospedali. Ma quella fiducia non si traduce in supporto o sicurezza».
Una operatrice sociale compila il registro dopo una visita a un bambino - Sejal, Khabr Lahariya
Una operatrice sociale compila il registro dopo una visita a un bambino - Sejal, Khabr Lahariya
Dal 2005, il ruolo delle Asha si è notevolmente ampliato. Oggi non sono solo promotrici della salute, ma anche raccoglitrici di dati ed epidemiologhe. Oltre ai compiti principali ora si occupano di malattie croniche, campagne di sensibilizzazione e rendicontazione digitalizzata. Le operatrici devono registrare il loro lavoro in una app, Mdm 360 Shield, sviluppata dal governo per monitorare i servizi di salute materno-infantile. Formalità che, nella pratica, ha aumentato il carico di lavoro. E che pesa anche economicamente visto che devono sobbarcarsi le spese della connessione internet. «L’app non funziona senza dati mobili – sottolinea Sunita da Chitrakoot –. Pago la bolletta del mio telefono da sola. Nessuno ci rimborsa».
Le infermiere sono pagate in base a un modello standard di prestazioni. Il governo centrale offre 2.000 rupie al mese per otto attività principali, l’equivalente di 20 euro. Per il lavoro aggiuntivo, ricevono piccole somme: 300 rupie per ogni parto, 100 per accompagnare un paziente, 150 per il follow-up post-operatorio. Ma i pagamenti sono spesso in ritardo, irregolari e insufficienti. La maggior parte delle Asha guadagna tra 3.000 e 6.000 rupie al mese (tra i 30 e i 60 euro), pur prestando servizio a tempo pieno. «Lavoriamo otto-dodici ore al giorno. Come si può vivere con 4.000 rupie al mese?», si chiede Sunita.
Pagamenti insufficienti e nessun riconoscimento
La classificazione delle operatrici come “volontarie” consente allo Stato di evitare l’obbligo di fornire salari fissi, congedi di maternità, pensioni o assicurazioni. Solo alcuni Stati – come Andhra Pradesh, Kerala, Karnataka, Haryana, Bengala Occidentale e Sikkim – offrono retribuzioni fisse. Negli ultimi anni, le operatrici hanno iniziato a ribellarsi. Durante la pandemia e le elezioni statali, migliaia hanno protestato in tutta l’India. Chiedevano compensi garantiti, migliori condizioni di lavoro, riconoscimento come lavoratrici e un’assicurazione sanitaria. Gli esperti di sanità pubblica sostengono da tempo che i risultati sanitari dell’India si basano sul lavoro non retribuito delle donne. «Le Asha sono essenziali per il funzionamento del sistema sanitario indiano», spiega un ricercatore di politiche sanitarie a Delhi. «Ma la loro invisibilità nei bilanci e nelle politiche mostra quanto il sistema dia per scontato il lavoro femminile». In tutta l’India, le operatrici Asha continuano a essere la forza più affidabile nella sanità rurale. Ma finché non riceveranno dignità, protezione e una retribuzione equa, il Paese rischia di distruggere il sistema che tiene in vita i suoi cittadini più vulnerabili.
(Hanno collaborato: Shivdevi, Shyamkali, Sangeeta e Sejal)

Khabar Lahariya, il giornale di sole donne che racconta la vita delle remote campagne indiane sfidando gli stereotipi di genere

È l’unico organo di informazione indipendente in India gestito interamente da donne, Khabar Lahariya, nato come giornale cartaceo a Chitrakoot nel 2002 proponendo storie e approfondimenti sulla realtà locale delle comunità rurali. Articoli scritti da una prospettiva prevalentemente femminista con un linguaggio molto semplice e, in alcuni casi, in dialetto. Negli anni è diventato un punto di riferimento per il giornalismo investigativo sul territorio e autorevole fonte di notizie provenienti dalle aree più remote del Paese spesso prive di copertura mediatica. Oggi offre ai suoi lettori (circa 20 milioni di persone) anche contenuti culturali e di intrattenimento. Per Khabar Lahariya lavorano 25 giornaliste di diversa estrazione sociale e religiosa residenti in sei Stati dell’India settentrionale. Le reporter sono votate a portare la prospettiva femminista nel racconto, ormai solo digitale, dell’India rurale per affermare il ruolo delle donne nelle piccole città e nei villaggi. La visione a più ampio spettro della testata, che nel 2019 è entrata a far parte del gruppo Chambal Media, è coltivare un giornalismo indipendente, inclusivo e radicato sul terreno per potenziare le comunità emarginate e dare voce alla gente comune altrimenti ignorata. Durante la pandemia di Covid, ha contribuito a costruire la consapevolezza pressoché inesistente dei rischi legati al coronavirus. Nel 2018, ancora, ha lanciato un’iniziativa per dare voce alle donne costrette a tacere le molestie sessuali e la violenza subite dando vita al movimento #RuralMeToo. Non sono mancate minacce legate all’aver messo in discussione lo status quo e gli stereotipi di genere. Tre anni fa ha lanciato la Chambal Academy, una piattaforma per formare la nuova generazione di giornaliste digitali dell’India rurale. I corsi, dedicati a chi ha poca o nessuna competenza in materia, comprendono approfondimenti su come riconoscere e comprendere le dinamiche di genere, casta e patriarcato nella società indiana. (Angela Napoletano)

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