I Giochi della speranza? Si fanno a Rebibbia, sezione femminile

La seconda edizione si svolgerà dal 12 dicembre e coinvolgerà le detenute, la prima a giugno aveva chiamato in causa gli uomini. Pasquini (Fondazione Giovanni Paolo II): lo sport parla un linguaggio universale. Calcio a 5, pallavolo e atletica leggera tra le competizioni proposte alle partecipanti
November 20, 2025
I Giochi della speranza? Si fanno a Rebibbia, sezione femminile
Se c’è un luogo dove la speranza può tornare a mettersi in gioco, quello è proprio il carcere. Per questo la Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, in collaborazione con il Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, e dalla rete di magistrati “Sport e Legalità, ha deciso di concedere il bis organizzando la seconda edizione dei “Giochi della speranza”.
Lo scorso giugno a mettersi in gioco erano stati gli uomini della Casa Circondariale di Rebibbia, mentre questa volta in gara, sotto il patrocinio del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, saranno le atlete della sezione femminile del carcere romano. Dal 12 dicembre quindi saranno chiamate a confrontarsi agonisticamente le rappresentative sportive composte da detenute, polizia penitenziaria, magistrati ed esponenti della società civile. Gare di calcio a 5, pallavolo, atletica leggera, tennis tavolo e calcio balilla conferiranno le medaglie alle partecipanti che già si stanno allenando da tempo per questo atteso appuntamento che è stato presentato a Roma durante il convegno “La funzione rieducativa della pena e il valore dello sport nel trattamento penitenziario”. Un panel, al quale sono intervenuti Ernesto Napolillo, direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dap e Sergio Sottani, procuratore generale presso la Corte di Appello di Perugia e presidente della rete di magistrati Sport e Legalità, con i quali sono stati affrontati i temi della giustizia, della dignità umana e i percorsi di recupero, inseriti all’interno della missione formativa e sociale dello sport di cui la Fondazione Giovanni Paolo II si fa garante oltre che ente organizzatore.
«Bisogna superare la convinzione che lo sport in carcere sia un mero passatempo – ha spiegato Daniele Pasquini, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport –. Questa seconda edizione dei Giochi della Speranza vuole ribadire ciò che abbiamo visto e vissuto a giugno: lo sport non è soltanto competizione, ma può veramente essere un'opportunità per migliorare la qualità della vita dei detenuti. Lo sport parla un linguaggio universale e sa unire oltre ogni barriera, anche laddove il confine tra interno ed esterno sembra più netto». Lo sport è fondamentale nel percorso rieducativo dei detenuti, ma non sempre viene promosso e praticato adeguatamente.
«Da un monitoraggio nazionale, abbiamo ricostruito una mappatura dell’attività sportiva negli istituti penitenziari e il risultato è sconfortante – denuncia Napolillo –. A fronte di taluni territori dove c’è una particolare attenzione per l’argomento, c’è un gran vuoto sia a livello qualitativo che quantitativo in ampie zone. Se andiamo ad analizzare i dati dal punto di vista femminile il risultato è ancora più sconfortante. Occorre quindi capire ed evidenziare quali attività sportive possano essere replicate nello spazio e nel tempo in tutti gli istituti di pena. Da qui l’esigenza di linee guida operative per i responsabili delle strutture carcerarie e iniziative come “I Giochi della Speranza” vanno proprio in quella direzione. Perché lo sport non è solo attività fisica, ma una scuola di regole che diventano a loro volta scuola di rieducazione». Una scuola in cui crede fortemente suor Alessandra Smerilli, segretaria del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che si rivolge direttamente alle atlete convocate per i “Giochi della Speranza”: «Per chi vive la detenzione, lo sport assume un valore importante perché educa al rispetto, alla disciplina, al lavoro di squadra; aiuta a riconoscere i propri limiti e a scoprire nuove energie. Al centro di tutto rimane la speranza: la speranza di qualcuno che attende oltre le mura, la speranza di una conversione interiore che spesso anticipa la liberazione esterna. La speranza di chi sceglie di rialzarsi».

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