Dal cyberstalking al doxxing, la violenza di genere è sempre più digitale

La proposta di tre associazioni, Valore D, Una Nessuna Centomila e PermessoNegato per sollecitare le aziende ad adottare misure di prevenzione
November 12, 2025
Dal cyberstalking al doxxing, la violenza di genere è sempre più digitale
Violenza di genere sempre più spesso anche digitale
La violenza di genere si manifesta sempre più spesso anche nel mondo digitale e assume forme sempre più subdole, difficili da individuare e quindi da combattere. Quantificare questo fenomeno non è semplice ma è essenziale che se ne parli per rendere efficaci le azioni di contrasto. In questa direzione si muove il progetto “Dal silenzio all’azione” avviato l’anno scorso da Valore D, una rete di oltre 400 imprese che promuove l’uguaglianza di genere, dalla Fondazione Una Nessuna Centomila che sostiene i centri anti-violenza e dall’associazione PermessoNegato, impegnata nella lotta alla diffusione non consensuale di foto. In vista della giornata mondiale contro la violenza di genere, il prossimo 25 novembre, le tre realtà hanno messo a punto una policy rivolta alle aziende per monitorare, prevenire e se necessario contrastare il fenomeno della violenza digitale nei luoghi di lavoro.
Il punto di partenza è la commistione ormai totale anche per quanto riguarda il lavoro tra la vita reale e quella digitale: spazi virtuali, piattaforme di comunicazione istantanea e social network sono gli ambienti in cui si sviluppano non solo le relazioni personali ma anche quelle professionali. Luoghi non fisici dove la potenziale vittima è di fatto sempre raggiungibili. La violenza di genere online rappresenta uno dei principali rischi per la sicurezza e l’inclusione delle donne, contribuendo alla formazione di un soffitto di cristallo digitale che ostacola la loro crescita professionale, le spinge ad auto-censurarsi e, in condizioni estreme, anche alle dimissioni.

Le nuove forme di violenza digitale: dall'hate speech alla sextortion

La forma più diffusa di violenza di genere online sono le critiche aggressive (hate speech) verso una donna, seguite dalla diffusione di immagini per umiliare la vittima (revenge porn) o per estorsione (sextortion), c’è poi il fenomeno del cyberstalking (persecuzione), del doxxing (pubblicazione di dati privati) e del gender based trolling (denigrare la reputazione con attacchi attuati da vari account). Se la consapevolezza sul tema sta crescendo, almeno per i reati più conosciuti complici anche i fatti di cronaca, come il caso della piattaforma “Mia moglie”, la denuncia di questi reati digitali è ancora un’eccezione. Alcuni dati certificano la gravità della situazione: il 58% delle molestie in Europa avviene on-line. In Italia il 15% delle giovani tra i 18 e i 34 anni, secondo un sondaggio realizzato da Swg per Valore D, ha subito episodi di violenza digitale di genere e il 23% ha un’amica che ne è stata vittima. «Le giovanissime sono le più esposte perché passano molte ore sui device e la diffusione dell’intelligenza artificiale, con la possibilità di manipolare le foto, apre purtroppo nuovi scenari» ha sottolineato Debora Ghietti, segretaria generale di Una Nessuna Centomila.

Una policy per le aziende che vogliono prevenire i rischi

Anche i luoghi di lavoro possono presentare dei rischi. Il più comune è quello del workplace harassement digitale molestie via e-mail, chat aziendale, videoconferenze e condivisione non consensuale di contenuti. Ci sono poi gli attacchi alla reputazione di una persona, ad esempio con post falsi che ne mettono in dubbio la competenza. Lo scopo di questi attacchi è spesso quello di ostacolare la carriera delle vittime, in particolare di imprenditrici e libere professioniste. I risultati sono un graduale “ritiro” dalla vita digitale, con interazioni limitate o propri profili cancellati per paura di nuovi attacchi.
Per cambiare passo serve una rivoluzione culturale che deve partire dai banchi di scuola, e qualcosa lentamente si sta muovendo – ad esempio con l’educazione all’affettività a partire dalle medie, resa possibile grazie ad un cambio di rotta del governo annunciato lunedì – ma anche dai luoghi di lavoro. «Le aziende sono delle comunità di persone che possono favorire il cambiamento. Con la nostra policy vogliamo proporre loro un modello di riferimento e un impegno condiviso. Creare ambienti digitali sicuri, contrastare le discriminazioni e sostenere chi ne è vittima. Solo unendo le forze - istituzioni, imprese, media e società civile - possiamo trasformare la consapevolezza in azione» ha spiegato Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D. La tutela della privacy deve essere una delle linee guida. «Il consenso digitale è il grande assente nella cultura online contemporanea. Troppo spesso gli utenti considerano immagini e dati personali come materiale liberamente condivisibile – ha aggiunto sottolinea Nicole Monte, vicepresidente di PermessoNegato –. Diffondere contenuti altrui senza permesso non è una leggerezza ma una violazione grave».
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