martedì 30 ottobre 2018
Nell'ultima bozza via le agevolazioni tariffarie e i contributi alle imprese editrici e radiotelevisive
Foto Giorgio Boato

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Stando all’ultima bozza consultabile della legge di bilancio, il governo non tocca il Fondo per l’editoria (più precisamente, Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione), ma interviene sopprimendo, dal primo gennaio 2020, le agevolazioni tariffarie e i contributi alle imprese editrici e radiotelevisive.

In manovra, infatti, si fa riferimento, per abrogarle, ad alcune norme contenute nelle leggi di settore del 1981, 1987 e 1990. E anche quando si fa riferimento alla legge istitutiva del Fondo per l’editoria, la 198 del 2016, lo si fa in realtà per abrogare il Regolamento che disciplina l’accesso alle stesse riduzioni tariffarie. Se ne ricava il senso di un intervento meno ampio di quanto annunciato, che va a rivalersi su agevolazioni fissate in legge 30-40 anni fa. La prudenza è d’obbligo perché le bozze cambiano di continuo e nessuno può essere certo che i testi rimbalzati ieri nelle redazioni giornalistiche siano identici a quello ufficiale che domani sbarcherà alle Camere.

Sebbene apparentemente più limitato e procrastinato al 2020, l’intervento che taglia i contributi indiretti a editoria, stampa e radiodiffusione è comunque pesante e penalizzate. Si parla delle tariffe telefoniche, telegrafiche, postali e dei trasporti di tutte le imprese editrici regolarmente registrate (diverse di queste agevolazioni sono già state ridotte o annullate nel tempo). Forte l’intervento anche a danno delle imprese radiofoniche nazionali che dedicano almeno il 25 per cento delle ore di trasmissione (il 15% per le radio a carattere locale) a programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari: oltre alle riduzioni tariffarie già elencate, perderanno anche quelle legate ai consumi di energia elettrica, ai canoni di noleggio e di abbonamento ai servizi di telecomunicazione di qualsiasi tipo, compresi i sistemi via satellite. Queste imprese radiofoniche con taglio informativo perderanno anche il diritto al rimborso del 60 per cento delle spese per l’abbonamento a tre agenzie di informazione a diffusione nazionale o regionale, con danno diretto, quindi, alle stesse agenzie di stampa già in difficoltà. Eliminate le medesime riduzioni tariffarie e anche ciò che resta del contributo diretto alle imprese radiofoniche organi di partiti politici. Secondo le prime letture dei tecnici su informazioni ancora incomplete, potrebbero uscirne danneggiate realtà come Radio Maria, Radio Radicale, le piccole tv private.

L’intero tema è ancora oggetto di un contenzioso tra M5s e Lega. Ieri anche il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, si è opposto ai tagli perché «quei soldi servono ad assicurare la funzione pubblica e civica dell’informazione». Sulla stessa linea il presidente della Commissione Trasporti Alessandro Morelli. A loro il sottosegretario con delega all’editoria, il pentastellato Vito Crimi, replica sostenendo che «bisogna pensara anche a chi quei soldi non li prende». Il rinvio al 2020 di ogni intervento, e il mancato riferimento al Fondo per l’editoria sembrano avere il sapore di una tregua.

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