giovedì 8 luglio 2021
Dalla pedagogia alla sociologia, passando per filosofia, letteratura, storia e psicologia. Un lavoro per affrontare i tanti settori a fianco di quello originario della preparazione degli insegnanti
«Qui si costruisce il futuro». La difficile sfida dell’educare
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«Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola (…), ma dovrebbero preoccuparsi (…) solo di come bisogna essere per poter fare scuola». Le parole di don Lorenzo Milani, scritte su Esperienze pastorali centrano in pieno il problema dell’educare. Ne è consapevole il professor Domenico Simeone, preside della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica, quella che un tempo si chiamava Magistero, «anche se non siamo davanti a un semplice cambio di denominazione» avverte il preside. Basta scorrere i percorsi di studio offerti dalla facoltà per capire quanto sia complessa la formazione di coloro che sono chiamati a educare. In questo «ha influito la consapevolezza che l’educazione non è un evento legato solo alla prima fase della vita – aggiunge Simeone –, ma copre l’intera durata della vita». Un cambio di prospettiva che ha rivoluzionato l’approccio al tema dell’educazione e ha portato alla nascita di Scienze della Formazione. E l’uso del plurare non è casuale. «Sono davvero tanti gli ambiti coinvolti – aggiunge il preside – e noi dobbiamo formare professionisti preparati, capaci di cogliere le situazioni e affrontare le sfide che si pongo davanti a noi».


Il preside di Scienze della formazione, Simeone: ai nostri studenti cerchiamo di dare gli strumenti per leggere le situazioni che affronteranno

«La scuola e la società in cui viviamo non sono più quelle del passato – dice Antonella Marchetti, direttrice del dipartimento di psicologia –. Occorre sensibilizzare i futuri docenti rispetto alle nuove forme di disagio che si troveranno ad affrontare e in cui sono chiamati ad essere sentinelle verso i ragazzi e di sostegno alle famiglie». Certo «non devono sentirsi investiti della missione di salvarli, bensì di aiutarli a trovare le risorse interne per uscire dai problemi».

Ecco ritornare le parole di don Milani: «Come bisogna essere per poter fare scuola». «Ai nostri studenti – dice il preside – insegniamo a mettere al centro la persona, in relazione con gli altri. Dunque in un rapporto sociale. Ma accanto a questa dimensione orizzontale, ne poniamo anche una verticale, trascendente, che apre alla relazione con l’Altro». Ne è consapevole Adriano Pessina, direttore del Centro di ricerca sulla filosofia della persona "Adriano Bausola": «Creare questo senso di responsabilità nei confronti degli altri – dice – non può che partire dalla responsabilità verso se stessi. Scoprire quell’io non egoistico che permette di non considerare l’altro come oggetto della formazione», ma come coprotagonista in un rapporto nel quale anche chi insegna impara e apprende. Concorda il professor Simeone, per il quale «l’idea dell’insegnamento solo come trasmissione di sapere, non rende giustizia alla vera idea dell’educare che vede tutti i soggetti coinvolti. Dunque anche il docente è sollecitato a interrogarsi, a realizzare un’esperienza».

In questo contesto l’uso del linguaggio, della parola diventa strumento necessario. «Il linguaggio stesso nasce nella relazione – sottolinea Pier Antonio Frare, direttore del dipartimento di italianistica e comparatistica –. Ma oggi assistiamo a una diffusa povertà linguistica, dovuta anche al basso tasso di lettura nei nostri giovani. Comprendersi significa dirsi le cose, ma per farlo occorre possedere il linguaggio, che si alimenta con la lettura. E cosa più importante leggere non aumenta solo le parole conosciute, ma sviluppa anche la capacità di pensiero. E avere delle idee, dei pensieri è fondamentale». Sembrano rieccheggiare ancora le voci della scuola di Barbiana di don Milani, che parlava proprio di una scuola capace di educare tutti e ciascuno.

Sviluppare le capacità dei singoli, pensando di non avere davanti bambini tutti uguali, è oggi più che mai un patrimonio consolidato per la pedagogia, che «ora si avvale di altre scienze» spiega Simonetta Polenghi, direttrice del dipartimento di pedagogia. «La pedagogia è cresciuta in un mondo complesso osservando i nuovi bisogni educativi. Un esempio? Le classi multietniche». Diventano quanto mai necessarie «buone prassi educative da mettere a disposizione di docenti, formatori ed educatori». Insomma torna la necessità di «persone preparate». Per questo accanto alla formazione teorica, spiega il preside, «abbiamo da tempo attivato laboratori, percorsi di tirocinio, ma anche lavori di gruppo dove gli studenti sono chiamati a mettersi in gioco». Il tutto per acquisire «competenze da queste esperienze». Concorda Danilo Zardin, direttore del dipartimento di storia dell’economia, della società e di scienze del territorio, sottolineando come «la formazione degli specialisti non può puntare soltanto a preparare dei tecnici, ma persone che devono avere un bagaglio di conoscenza per una formazione globale. La nostra facoltà non forma soltanto futuri insegnanti di scuola, ma anche educatori che avranno rapporti educativi con disabili - anche dentro la scuola, superando le antiche classi differenziate -, o professionisti che insegneranno discipline sportive, o docenti impegnati nella formazione permanente dei lavoratori. Come si vede la società e il welfare richiedono interventi diversificati».

E «l’educazione è un processo per diventare una società che stia bene» aggiunge Lucia Boccaccin ordinario di Sociologia e referente per la facoltà nell’area di sociologia. Ma per creare questo processo, avverte la sociologa, "occorre la credibilità della proposta. I giovani, nonostante quello che si dice, domandano educazione e prendono seriamente il loro futuro, stando attenti all’essenziale». Il preside Simeone usa l’immagine di un proverbio africano che paragona l’azione dell’educare, a un padre che porta il figlio sulle spalle perché possa guardare lontano. «Noi nella nostra facoltà cerchiamo di fare questo – dice Simeone –. Non a caso abbiamo scelto come facoltà tre parole per il Centenario dell’Università Cattolica: cultura, formazione e educazione». Si tratta di «tre bussole che ci aiuteranno a viaggiare, non delle ancore che, seppure rassicuranti, possono solo fermarci. Puntiamo a un patrimonio capace di offrirci legami che nutrano, che siano generativi». Bussole e non ancore, anche perché «non conosciamo le sfide che ci attendono, ma dobbiamo preparare strumenti che ci permettano di affrontarle, però senza pacchetti precostituiti». Anche questo significa «generare futuro», con strumenti che «ci permettono di camminare, leggere, interpretare e indicare una strada». Percorsi che «non si possono compiere da soli, in forma individuale, ma in modo comunitario. Il futuro si costruisce insieme, come avviene nello stesso rapporto educativo. Un docente, un formatore, non ha una divisa o uno strumento che lo caratterizzi: ha se stesso».
Lo diceva anche il fondatore della Cattolica, padre Agostino Gemelli, nell’apertura dell’Anno accademico l’8 dicembre 1955: «L’università aiuta il giovane a diventare adulto con la conoscenza della verità, con il lavoro comune con i maestri e i compagni, abituandolo a non essere schiavo dei pregiudizi, ad amare e a servire la libertà».
«Oggi il mondo è più complesso – conclude il preside Simeone –, ma quell’indicazione resta al cuore della nostra azione accademica».

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