venerdì 24 novembre 2017
L’8 marzo scorso avevano scioperato da ogni «lavoro produttivo e riproduttivo » e sabato riportano a Roma il corteo contro la violenza. Sono le «donne, trans e queer»
Quelle «ultrafemministe» e le schiavitù dimenticate
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L’8 marzo scorso avevano scioperato da ogni «lavoro produttivo e riproduttivo » e sabato riportano a Roma il corteo contro la violenza. Sono le «donne, trans e queer» che si riconoscono nel movimento «ultrafemmnista» Non una di meno (Nudm); lungo le strade della Capitale promettono di essere «una marea» e intanto lanciano il loro Piano femminista contro la violenza maschile e di genere, elaborato nell’arco di un anno dopo 5 assemblee nazionali e 9 tavoli tematici. Non una di meno è una piattaforma politica giovane, che raggruppa esperienze molto recenti, vicino ai centri sociali e all’area dell’antagonismo e invece assai lontane dal pensiero e dalla cultura del femminismo storico.

C’è anche una vicinanza a molti Centri antiviolenza. Nelle 57 pagine del Piano, «strumento di lotta e di rivendicazione», c’è di tutto: c’è l’idea che la violenza maschile sia un fenomeno «strutturale» e che si accompagni alla «violenza patriarcale e capitalistica». «Vogliamo autonomia, libertà e giustizia sociale» è un altro slogan. E come? Ad esempio rendendo libero l’aborto negli ambulatori, cancellando l’obiezione di coscienza, «sovvertendo le gerarchie sessuali» e via dicendo. Alla manifestazione di Non una di meno quest’anno sembra che la Cgil abbia scelto il basso profilo, aderendo attraverso la Federazione lavoratori della conoscenza (Flc) e la Fiom. «Un grande sforzo, a cui mi sento del tutto estranea», ha sintetizzato Franca Fossati, già direttrice di 'Noi donne'. Già perché la piattaforma di Nudm è fortemente divisiva: lo è quando sembra voler estromettere del tutto l’intervento pubblico (e maschile) nella lotta alla violenza contro le donne, rivendicando «spazi di autonomia, spazi separati, spazi di liberazione». «Un colossale balzo all’indietro – spiega Francesca Izzo del movimento Se non ora quando-Libere – perché nel momento in cui finalmente con la Convenzione di Istanbul è caduta l’ultima barriera e la violenza contro le donne è diventata un fatto politico di cui le istituzioni si devono fare carico, ecco che si rivendica l’autonomia delle donne nel lottare contro la violenza».

Ma ci sono altri punti sostanziali che hanno provocato le prese di distanza del femminismo «storico». Una fra tutte: la questione del «sex work», il lavoro sessuale. Per la gran parte delle femministe – dall’Unione delle donne italiane fino ad Arcilesbica, passando per Se non ora quando-Libere – non c’è autodeterminazione che tenga: la prostituzione non è affatto un lavoro, e anzi al contrario è un ingiusto sfruttamento del corpo femminile. Non una di meno, invece, nella sua piattaforma, dopo aver speso fiumi d’inchiostro per deprecare la violenza, la discriminazione, la divisione sessuale del lavoro... scrive che bisogna tutelare «l’autodeterminazione e la libertà» delle/dei sex workers, come se ci fosse vera libertà nello stare sui marciapiedi. Anche in questo caso, un salto mortale, anche perché poi invece ci si preoccupa (superficialmente, in verità) delle migranti vittime della tratta. Un secondo – non meno rilevante – punto di divisione è quello sull’utero in affitto: mentre ormai gran parte del mondo femminista considera la pratica una grave forma di sfruttamento del corpo delle donne, che talvolta rasenta la schiavitù, Non una di meno non ne fa cenno. Tutto bene, da quelle parti?

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