martedì 20 agosto 2019
"Nacque il tuo nome da ciò che fissavi": il tema dell'edizione 2019 esplorato dalla critica letteraria Arbina Abascal, che cita Almòdovar, Garcia Lorca, il gruppo rock Switchfoot, Camus e don Giussani
Perché la poesia può cambiare un mondo in cerca di rinascita
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Pedro Almodóvar ospite al Meeting: perché no? Per il momento è solo un’ipotesi, ma non è escluso che prima o poi possa realizzarsi. A formulare l’invito è, non senza una punta di divertimento, la critica letteraria spagnola Guadalupe Arbona Abascal al termine di un’appassionata testimonianza durante la quale le sequenze del recente Dolor y Gloria si alternano alle pagine del Primo uomo, il romanzo al quale Albert Camus stava lavorando nei primi giorni del 1960, prima di morire in un incidente automobilistico.

Ma non mancano le parole di Federico García Lorca, gli scritti di don Luigi Giussani e perfino le canzoni degli Switchfoot, il gruppo rock californiano che ha rappresentato in modo perfetto il disagio della contemporaneità: «Ventiquattro voci per ventiquattro cuori / le mie sinfonie sempre in ventiquattro parti / oggi però io voglio essere uno solo, voglio essere vero ». È proprio a questa invocazione che risponde il verso di Karol Wojtyla adoperato quest’anno come titolo del Meeting: “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”.

All’inizio la professoressa Abascal (docente all’Università Complutense di Madrid, studiosa di letteratura spagnola contemporanea, in particolare del rapporto con altre tradizioni linguistiche, e maggior specialista di uno dei più importanti scrittori spagnoli di oggi, José Jiménez Lozano) confessa di sentirsi un po’ in imbarazzo per l’incarico che le è stato affidato: «Vengo a Rimini da molti anni – racconta –, ma finora mi sono sempre seduta tra il pubblico. Adesso invece tocca a me tenere un incontro così importante… ».

Commentare il tema della quarantesima edizione, nientemeno. Per fortuna che il linguaggio della poesia è sintetico e ardito, permette di accorciare le distanze, istituisce collegamenti impensati. «Perché, se non ancora non si fosse capito, quest’anno più che mai al centro di tutto ci sono le relazioni, il dialogo: lo struggimento per l’incontro, anzi », ribadisce Emilia Guarnieri, che della Fondazione Meeting è presidente. L’ombra dell’incertezza si dissolve non appena la relatrice si inoltra nei testi, cominciando dalla poesia che un Wojtyla ancora trentenne dedica all’incontro fra Gesù e la Veronica: «Già prima di allora la donna aveva un nome – sottolinea Abascal – ma ne riceve uno nuovo dopo aver asciugato il volto del Signore. Per lei è una rinascita, ma è proprio questa eventualità che la cultura del nostro tempo non riesce neppure a contemplare. Semmai si ha nostalgia dell’infanzia, dell’istante stesso della nascita o addirittura del tempo che l’ha preceduta».

Nell’autoritratto di Dolor y Gloria, per esempio, Almodóvar affida alla memoria del passato ogni possibilità di salvezza, mentre il giovane Lorca confessava in una lettera la sensazione di non essere ancora venuto al mondo e nel suo libro incompiuto Camus volle approfittare dell’invenzione romanzesca per ritornare al primissimo giorno della propria vita.. «Quando penso a queste situazioni e ad altre simili – afferma Abascal – mi torna alla mente quel brano del Senso religioso in cui don Giussani invita a immaginare come sarebbe il nostro primo sguardo sul mondo se potessimo gettarlo ora, con l’esperienza che ci siamo formati, e non con l’inconsapevolezza del neonato. Che cosa ci colpirebbe? Da che cosa resteremmo segnati?».

Dalla realtà in quanto tale, dal colore che le cose assumono se si riesce a contemplarle per la loro assoluta semplicità. Esercizio sempre più difficile in un mondo nel quale, come sostiene il futurologo Yuvale Noah Arari, perfino la personalità individuale viene scomposta in pacchetti di dati. «Ma non è così», insiste Guadalupe Arbona Abascal citando il capolavoro poetico di Pedro Salinas, La voce a te dovuta, nel quale l’istante dell’incontro tra gli amanti è descritto come «una data che segna un tempo al tempo».

Si torna ai Vangeli, dunque. Non alla pur bellissima leggenda apocrifa della Veronica, ma alla vicenda di Zaccheo. Abascal si impossessa dei versetti di Luca per proporre una commovente interpretazione narrativa: la solitudine meschina dell’esattore, il ridicolo impaccio di una statura troppo piccola, la chiamata inattesa e liberatoria del Maestro. «Esisteva solo quel momento – conclude –, il momento nel quale la prospettiva del destino faceva finalmente irruzione nel perimetro limitato dell’esistenza di Zaccheo». Il richiamo del passato sarà anche seducente, come insegna l’ultimo Almodóvar. Ma quello che ci attende – la voce, l’invito, lo sguardo dell’altro – è sempre più grande.

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