sabato 19 novembre 2016
Il premier conferma: non guiderò governicchi. Dopo il referendum subito il Congresso dem.
L'ultimo miglio di Renzi «Affluenza al 60% e vinco»
COMMENTA E CONDIVIDI

Un Renzi 'umano', apparentemente stanco del tour elettorale e prudentissimo circa l’esito del referendum. Al punto che la conferenza stampa sui mille giorni di governo, in alcuni passaggi, sembra un semi-commiato: «Questo governo doveva realizzare le riforme e rilanciare il Paese. Abbiamo fatto il nostro. Ora tocca ai cittadini». Un profilo basso che però non deve tradire. Perché il premier ha un «ultimo miglio» da percorrere, quindici giorni per capovolgere i pronostici, acciuffare la «maggioranza silenziosa», convincere ad andare alle urne «la pancia del Paese che vuole cambiare». «Credo – è la scommessa finale – che andranno tante persone a votare. La partita è tutta aperta». Pochi minuti dopo, in un’intervista tivvù, si spinge oltre: «Si vince se l’affluenza supera il 60 per cento, si vince con 15 milioni di voti». La scena-madre della giornata si svolge alle 18.20 al primo piano di Palazzo Chigi. Da poche ore Renzi è tornato da Berlino. Ma prima di incontrare i cronisti, va al seminario di Area popolare sulle riforme. Anche lì l’aria è di chi dice 'lottiamo fino alla fine e poi vediamo come va'.

Il 'vecchio' Renzi viene fuori solo per una battuta sull’era- Letta: «Io ci credevo allo 'stai sereno', ma quando dicevo a Lupi e Alfano di andare avanti con Enrico sino al 2018 mi ridevano in faccia». Lasciato Palazzo Madama, la corsa a Chigi per la conferenza stampa. Il primo dettaglio che si nota è che alle sue spalle è tornata, a fianco al tricolore, la bandiera europea. E poi arrivano le immancabili slide su Pil, jobs act, posti di lavoro, deficit, debito, crisi aziendali risolte. «Rimproverarmi di qualcosa? Sì, di tantissime cose. Se abbiamo messo 3 miliardi sulla scuola e tutti sono arrabbiati qualche domanda ce la dobbiamo fare. Ma almeno adesso è chiaro che in Italia c’è qualcuno che le cose le fa», spiega il premier. Cose di cui essere fiero? «Le leggi da boy scout su sociale e cultura». Però i cronisti sono lì per capire qualcosa sul 5 dicembre, sugli scenari per il governo nel caso vincesse il «no». «Lo scopriremo solo vivendo», risponde Renzi citando Lucio Battisti. «Se vince il no verificheremo la situazione politica, noi siamo stati chiamati al governo per cambiare», prosegue. Manca una chiosa finale, che dà in tivvù pochi minuti dopo registrando una infuocata puntata di Otto e mezzo durante la quale rifila anche un «maleducato» al cronista Peter Gomez: «Non sono nato per fare inciuci, il governo tecnico, il governicchio... La grande accozzaglia è la base politica del «no, sono sempre i soliti po- litici. Se vogliono galleggiare, gestiscano loro il Paese».

È una prospettiva piuttosto chiara: se perde, Renzi lascia Palazzo Chigi e, al massimo, nelle vesti di segretario del Pd sostiene un esecutivo di transizione per cambiare la legge elettorale. E lui? Si dedicherà alla resa dei conti nel Partito democratico: «Vinca il sì o vinca il no, inizia la fase congressuale. E ci sarà spazio per la minoranza anche se il referendum lo vinciamo noi». Prima però c’è l’«ultimo miglio», che può riservare sorprese. A sinistra c’è poco consenso da scavare. Bisogna battere sul Sud, e infatti in serata il premier lascia Roma per andare a Bari alla Fiera del Levante (oggi invece sarà di nuovo in Campania e in Basilicata). E bisogna convincere gli indecisi che fluttuano tra gli elettori di Forza Italia, Lega, M5S. A loro Renzi si rivolge: «Se votate no la casta vince 2-0». Non è una contraddizione. Il premier è convinto che la «maggioranza silenziosa», la «pancia del Paese» è ormai abituata a fare «zapping quando vota». Magari hanno spinto su Appendino a Torino ma ora sono pronti a tornare sul «sì» al referendum. È questo la sottile operazione politica che Renzi proverà a mettere in piedi negli ultimi 15 giorni di campagna elettorale.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI