lunedì 9 dicembre 2013
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Getta le tue reti, buona pesca ci sarà! L’augurio del cantautore forse valeva un tempo. Oggi non è più così. La pesca italiana, anno dopo anno, segna la crisi. Tutta la filiera ittica – dicono le associazioni di categoria – è al centro di una crisi di portata straordinaria ed emergenziale. I dati lo confermano. Il pescato, per cominciare. Si è ridotto dalle 439.284 tonnellate del 2000 alle 224.758 tonnellate del 2010, con un calo pari al 48,84 per cento. La riduzione si spiega perché in questi dieci anni si è assottigliato tutto: la flotta si è ridotta del 28,1 per cento, passando da 18.390 pescherecci agli attuali 13.223 scafi. È sceso dunque il livello occupazionale di tutto il settore ittico del 38,26 per cento, passando da 46.939 imbarcati nel 2000 a 28.982 addetti diretti di oggi. Un altro segnale di debolezza è rappresentato dalla perdita di produttività fisica ed economica delle imprese pescherecce. Il rapporto annuale del ministero delle Politiche agricole riferito al 2012 (dunque il più aggiornato) dice che le catture annue per singolo battello sono passate da una media di 16 tonnellate del 2011 alle 15 tonnellate del 2012. Pesante è la perdita economica: i ricavi mediamente conseguiti da un peschereccio nel 2012 sono stati pari a 71mila euro: oltre 11mila euro in meno rispetto al 2011. Questa volta ha ragione il cantautore Bertoli: «Poco pesce nella rete, lunghi giorni in mezzo al mare».Ha inciso molto l’aumento del gasolio, passato da 513,23 euro per mille litri del 2005 ai 756,02 euro di quest’anno. Decisamente troppo caro per i piccoli e medi pescherecci che costituiscono l’ossatura della flotta italiana specializzata nella pesca costiera. Tanto che l’Anapi, un’associazione di piccole imprese, nel 2007 propose l’alternativa del metano che, dicono, le legge europee consentono ma che in Italia non è possibile per la mancanza di norme attuative.L’aumento del gasolio, però, non spiega tutto. «La pesca – scrivono M. Luisa Di Muzio ed Elena Ghezzi in uno studio per conto di Lega Pesca – subisce gli impatti di altre fonti di alterazione dell’ecosistema marino: le diverse forme di inquinamento che si riversano sul mare, i cambiamenti climatici, i processi di acidificazione delle acque, le attività estrattive, la navigazione costiera, gli impianti dell’industria energetica come piattaformi, petroliere e rigassificatori». Insomma: non sono i pescatori che stanno uccidendo il mare.Massimo Coccia, presidente di Federcopesca, sul costo del gasolio, spera che la Ue, che non consente di abbatterne il costo, cambi opinione. Nemmeno fida in incentivi economici statali che non vedrebbero favorevoli i Paesi del Nord europeo. «Piuttosto – dice – occorrono risorse che accompagnino quelli che fanno fatica a restare sul mercato per demolire le imbarcazioni così da razionalizzare tutta la catena produttiva. Ma è poi necessario – aggiunge Coccia – difendere la nostra produzione sul mercato e correggere la filiera. Per sua natura è una filiera corta, eppure l’offerta diventa cara per il consumatore finale». I dati gli danno ragione: nel 2012, il consumo dei prodotti freschi ha segnato un calo dell’1,5 per cento su base annua. Sull’andamento negativo dei consumi, per l’aumento dei prezzi al minuto, ha anche influito la variazione del pescato: sono risultate in calo le catture di gamberi bianchi, di naselli, pesce spada e scampi, specie fondamentali per la nostra pesca sia per la quantità prodotta sia per il pregio commerciale.Le reti italiane, come le altre della Ue, sperano dall’anno prossima nel Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp) che prenderà il posto dell’attuale Fep. Ivan Corea dell’Anapi va però controcorrente e chiede la decentralizzazione delle licenze di pesca: «Consentirebbe – sostiene –  lo sviluppo della piccola pesca costiera locale nell’ambito delle acque territoriali di ogni regione, in maniera di stabilire le campagne o i tipi di pesca in funzione delle disponibilità costiere, mentre le normative comunitare sono basate su organizzazione di pesca che riguardano l’Atlantico. Queste, rapportate al Mediterraneo creano soltanto disastri».Il testo del Feamp non è ancora definitivo, ma dovrebbe contenere norme e misure per sostenere i pescatori nella transizione verso una pesca sostenibile, per aiutare le comunità costiere a diversificare la loro economia e per finanziare progetti rivolti ai giovani che creino nuovi posti di lavoro. Favorirà pesche miracolose? L’ottimismo di nessuno arriva a tanto.
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