martedì 8 novembre 2022
La manifestazione del 5 novembre ha fatto cadere molti alibi e oggi partiti e leader politici sono sfidati dalle questioni poste da un’iniziativa nata indipendentemente da loro
Il pacifismo è seriamente in campo e sfida la politica. Basta caricature

Ansa

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La manifestazione per la pace a Roma – partecipata come non si vedeva da tempo – ha avuto un chiaro significato politico: affermare che la pace deve essere una priorità. Sembrerebbe ovvio, ma molti commentatori ne hanno cercato invece il significato politico nella presunta vicinanza a questo o a quel leader o partito. Anche la contrapposizione tra le due iniziative di Roma e Milano è stata utilizzata con questo scopo. Ma in questo modo si rovescia la realtà: la manifestazione di piazza san Giovanni non ha né rincorso né respinto nessun leader o partito, non perché sia stata apolitica ma perché è stata “diversamente” politica.

La riduzione del corteo romano ad appendice delle scaramucce tra partiti è in linea con il tentativo – in atto da mesi – di negare la possibilità stessa che cercare la pace costituisca una posizione politicamente rilevante. Per riuscirci, si è detto di tutto. Le accuse prevalenti sono rimaste quelle di filoputinismo o antiamericanismo, ma i sostenitori della pace sono stati accusati anche di ipocrisia e doppiogiochismo o, quantomeno, di ingenuità e sprovvedutezza. Si tratterebbe comunque di pericolosi nemici degli ucraini, corresponsabili delle enormi sofferenze provocate loro dalla guerra scatenata da Putin. È decisamente troppo.

Intendiamoci, la questione è cruciale e bisogna essere chiari. Molti infatti hanno confuso le acque in questi mesi, a cominciare da quanti, estranei al campo pacifista, hanno sostenuto Putin, parlando di pace per motivi strumentali o interessi inconfessabili. Non c’è dubbio, inoltre, che, nella variegata galassia pacifista, ci siano anche state posizioni ambigue. È giusto infine riconoscere che anche tra i sinceri sostenitori della pace e della solidarietà con l’Ucraina, c’è stato chi non ha riconosciuto il diritto di quest’ultima a respingere l’aggressione russa. Sono tutte posizioni, però, da cui gli oratori di piazza San Giovanni hanno preso chiaramente le distanze, trasformando un’ampia aspirazione alla pace in una chiara posizione politica: la ricerca di una pace giusta attraverso negoziati, anzitutto per liberare l’Ucraina dalla tragedia della guerra. A giudicare dagli applausi, grandissima parte dei manifestanti era d’accordo con loro. Non sarà il caso di aprire finalmente una discussione seria sull’urgenza di un’efficace azione diplomatica internazionale, tenendo ovviamente conto anche della collocazione dell’Italia e dei suoi legami europei e atlantici?

La manifestazione del 5 novembre ha fatto cadere molti alibi e oggi partiti e leader politici – non solo a sinistra – sono sfidati dalle questioni poste da un’iniziativa nata indipendentemente da loro. Fin dall’inizio della guerra in Ucraina la maggioranza degli italiani ha sentito – magari confusamente – che la pace doveva costituire una priorità, ma nessuna forza politica ha tradotto tale aspirazione in una chiara posizione politica. Non si tratta di una questione solo elettorale e non basta promettere soluzioni semplicistiche. Bisogna farsi carico davvero del grido di chi chiede la fine alla guerra, elaborando idee e proposte all’altezza di un obiettivo difficile. Gran parte dell’edificio di pace costruito dopo la Seconda guerra mondiale, infatti, è crollato, come dice papa Francesco parlando di “terza guerra mondiale a pezzi”. Sarebbe irrealistico negarlo ciecamente (pacifismo ingenuo) ma è assurdo accettarlo passivamente (militarismo rozzo). Bisogna uscire da questa falsa alternativa, non solo con una forte volontà di pace ispirata da una chiara scelta morale, ma anche attraverso un’elaborazione culturale e politica adeguata alla complessità del mondo in cui viviamo. In questa direzione, la manifestazione romana ha rappresentato un concreto passo avanti, anche se è solo l’inizio di una strada ancora lunga.

A piazza san Giovanni hanno parlato voci diverse (anche in difesa delle donne iraniane). Numerose sono state quelle cattoliche che, insieme a voci del sindacato e dell’associazionismo, hanno contribuito a dare credibilità e consistenza alla richiesta di più diplomazia e meno armi, oltre al rifiuto assoluto di quelle nucleari. Sono state voci rappresentative di componenti diverse del mondo cattolico, che si sono mosse in sintonia con le esortazioni di papa Francesco e della Chiesa italiana. Era da tempo che il cattolicesimo italiano non faceva sentire la sua voce in modo così rilevante nel dibattito pubblico nazionale. È da sperare che questa convergenza tra credenti, mondo del lavoro ed espressioni della società civile continui anche in futuro, non solo sul terreno della pace.

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