venerdì 19 aprile 2019
Per l'ex presidente della Camera «è importante che l’aula voti per istituirla, perché la Procura di Roma non ha trovato la collaborazione dei magistrati del Cairo. E le indagini si sono fermate»
Boldrini: «Giulio Regeni, per fare luce serve Commissione d'inchiesta»
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«Istituire la commissione parlamentare d’Inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni è doveroso. Per la famiglia, per la dignità dell’Italia, per tutti i Giulio scomparsi in Egitto». L’ex presidente della Camera Laura Boldrini, oggi deputata di Leu, è soddisfatta del voto delle commissioni Giustizia ed Esteri. In seduta congiunta è stato votato il mandato ai relatori (Manfredi Potenti della Lega e Sabrina De Carlo del M5s, ndr) che dovranno riferire in aula il 29 aprile. «La resistenza iniziale della Lega è stata superata. Abbiamo votato tutti a favore, tranne Forza Italia, astenuta. La commissione dovrà chiarire circostanze, responsabilità, omissioni, con tutti i poteri della magistratura inquirente. È importante che l’Aula voti per istituirla, perché la Procura di Roma non ha trovato la collaborazione dei magistrati del Cairo. E le indagini si sono fermate».

Serve ora un’azione politica?

La commissione d’inchiesta è l’ultima carta da giocare per diradare le nebbie sul caso di Giulio Regeni. Non è sicuro che ci riusciremo, ma era doveroso tentare. Inoltre, Amnesty International descrive una situazione in Egitto fatta di torture, centinaia di sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, processi collettivi nei tribunali militari, decine di condanne a morte. Ed è appena passata una riforma che di fatto consente ad al-Sisi di restare al potere fino al 2030.

Violazioni dei diritti sono anche quelle sui profughi in Libia.
Avvenire ieri ha pubblicato l’ennesima conferma che non esiste una Guardia costiera libica in grado di gestire i soccorsi.
Il soccorso in mare è regolamentato dalla Convenzione di Amburgo, che decide catene di comando e responsabilità. Le recenti direttive ministeriali vogliono stravolgere queste procedure. E sono direttive emanate, fra l’altro, nemmeno dal ministro competente, delle Infrastrutture e trasporti, ma da quello dell’Interno. Una direttiva non può mettere in discussione una convenzione internazionale che ha rango costituzionale. È noto che le acque territoriali non sono inibite alle navi straniere. Né tanto meno a quelle italiane che compiono passaggi inoffensivi. Queste direttive, invece, capovolgono il principio, affermando che alcune imbarcazioni debbano chiedere un permesso. La verità è che il soccorso è un obbligo di legge, deve essere rapido, va indicato il porto sicuro, le persone non possono essere tenute a bordo per giorni. Invece sta emergendo un paradosso: l’Italia chiede alla Libia, che non risponde alle chiamate di soccorso e che non è porto sicuro, di coordinare le operazioni di salvataggio e di indicare il porto sicuro. Salvini sta bypassando la legalità nazionale e internazionale. È un modo di fare scriteriato e da avventuriero. E la presunzione della presenza di terroristi a bordo? Come fa il ministro dell’Interno con un tweet a dire – ex ante – che 'è una certezza' che a bordo ci siano terroristi? Se ha notizie in merito si rivolga alla magistratura, altrimenti la smetta di fare allarmismo.

La crisi libica sembra preoccupare l’Italia solo per la possibile fuga di profughi.

Non ho mai visto un dibattito così povero di argomentazioni, una visione così miope ed elettorale. Come se non ci fosse altro di cui preoccuparsi. Se l’Italia deve essere capofila nella gestione del dossier libico, come il presidente statunitense Trump ha chiesto al premier Conte, dobbiamo occuparcene a 360 gradi: sicurezza dei civili, integrità territoriale, milizie armate, dialogo con gli attori regionali. E come si può pensare di non coinvolgere la Francia? Salvini attacca Macron, Di Maio blandisce i Gilet gialli. Perdiamo credibilità anche con le parti in conflitto. Alla conferenza sulla Libia di Palermo a novembre Conte disse che grazie all’Italia il 2019 sarebbe stato 'l’anno della svolta'. Toni trionfalistici che oggi suonano insopportabilmente tragicomici. L’approccio del governo è dilettantesco.

C’è un’alternativa per gestire una possibile fuga di massa?

Serve il coinvolgimento dei attori partner internazionali, dell’Onu, dell’Ue. Non i tweet. Nella guerra in Libia del 2011, ad esempio, si organizzarono vennero organizzati ponti aerei o navali dai paesi limitrofi per i lavoratori non libici che volevano rientrare a casa senza che giungessero in Europa. Per i libici, invece, venne fornita assistenza sul posto in Tunisia ed Egitto. Il flusso verso l’Italia fu così contenuto. Il governo invece è continuamente alla ricerca di nemici e capri espiatori per oscurare i veri problemi del paese: mancata crescita economica, fisco, disuguaglianze, criminalità, periferie. Così facendo i problemi interni non si risolvono. E nello scacchiere internazionale il Paese rimane ininfluente e isolato.

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