giovedì 17 ottobre 2019
L’Eurostat certifica che l’obiettivo di ridurre gli indigenti di 20 milioni entro l’anno prossimo è fallito. I cittadini poveri sono ancora 109,2 milioni. In Italia pochi progressi dal 2008 ad oggi
Poveri a Roma nel mercato rionale di Val Melaina raccolgono generi di prima necessità in terra tra gli scarti  (Foto Ansa)

Poveri a Roma nel mercato rionale di Val Melaina raccolgono generi di prima necessità in terra tra gli scarti (Foto Ansa)

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Già la settimana scorsa Eurostat aveva confermato che il contrasto alla povertà è il grande obiettivo mancato dell’Agenda Europa 2020. Nel giugno 2010 i capi di Stato si erano dati la missione di portare 20 milioni di cittadini europei fuori dalla situazione di “povertà o rischio di esclusione sociale”. Ieri, alla vigilia della “Giornata mondiale per lo sradicamento della povertà” istituita dalle Nazioni Unite nel 1992, Eurostat ha aggiornato le statistiche. La missione è fallita. Gli europei poveri o a rischio di esclusione sociale erano 116 milioni nel 2008 e sono scesi a 109,2 milioni nel 2018. A due anni dalla scadenza, l’Ue non è nemmeno a metà strada.

Occorre una premessa. Eurostat, come e gli istituti nazionali di statistica che coordina, considera “povere o a rischio di esclusione sociale” le persone che rispondono a uno di tre criteri di povertà. Il più generale è quello della povertà relativa, dove il criterio è avere un reddito inferiore al 60% di quello mediano del proprio Paese. Il secondo criterio è quello della povertà lavorativa: è povero chi vive in famiglie dove gli adulti lavorano meno del 20% di quan- to potrebbero. Il terzo criterio è la povertà assoluta, cioè la situazione di chi non ha abbastanza risorse per affrontare almeno uno di nove tipi di spesa, come pagare le bollette, mangiare pesce o fare una settimana di vacanza. Quest’ultimo criterio è quello che indica chi vive una situazione di forte povertà.

Nel decennio 2008-2018 gli europei in povertà assoluta sono scesi da 41,6 a 29,4 milioni, passando dall’8,5 al 5,8% della popolazione. Molte tra le nazioni più povere dell’Ue registrano grandi progressi. In Bulgaria il tasso di povertà assoluta è alto, ma in un decennio si è dimezzato dal 41 al 20,9%. L’Italia, quarta nazione più popolosa dell’Ue, è quella che ha la più vasta popolazione di poveri assoluti ed è uno dei pochissimi Paesi dove la situazione è peggiorata: i poveri assoluti italiani erano 4,4 milioni nel 2008, sono saliti fino al picco di 8,7 milioni nel 2012 e poi sono scesi fino ai 5,1 milioni dello scorso anno. Nei dati dell’anno prossimo si vedranno gli effetti del reddito di cittadinanza.

In Italia è peggiorata anche la povertà secondo il criterio della bassa intensità lavorativa, che invece in Europa è leggermente migliorata, scendendo dal 9,2% del 2008 al 9% dello scorso anno. Per l’Italia il tasso di poveri per scarsità di lavoro era al 10,4% nel 2008 e all’11,3% lo scorso anno, con 4,8 milioni di italiani in questa condizione. È il terzo peggior dato dell’Ue.

La povertà relativa è l’unica dimensione in cui c’è stato un peggioramento a livello di intera Unione Europea. I cittadini dell’Ue che, anche dopo gli aiuti dello Stato, hanno un reddito inferiore al 60% di quello mediano del loro Paese sono passati dal 16,6% al 16,9% della popolazione. Sono 84,9 milioni di persone. Difficile definirli tutti "poveri": in Lussemburgo, caso estremo, è povero anche un single con un reddito inferiore ai 24mila euro lordi annui. In Grecia la soglia della povertà è di soli 4.718 euro, in Italia è di 10.106 euro (da noi risulta povero secondo questo indicatore il 20,3% dei cittadini).

Il peggioramento della povertà relativa conferma però quanto emerso da altre analisi: dopo la crisi l’Europa non ha saputo ridurre la diseguaglianza. Nel 2017 l’indice Gini dell’Ue era a 30,6 punti, lo stesso livello del 2008. Segno che milioni di europei sono stati tagliati fuori dai benefici della crescita economica di questi anni. Finché non saprà “includerli”, l’Ue non potrà centrare i suoi obiettivi di lotta alla povertà

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