martedì 21 febbraio 2017
Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù

Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù

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Portare il Bambino Gesù in Terra Santa, dove la guerra sembra non finire mai, non è come svuotare il mare con un secchiello?
Significa dare un contributo, come ha detto il nunzio per Gerusalemme e i Territori palestinesi, monsignor Lazzarotto, ad abbattere i muri- risponde la presidente dell’Ospedale pediatrico della Santa Sede, Mariella Enoc, al termine della missione a Betlemme e Karak - e farlo con due obiettivi molto concreti, che sono assolutamente alla nostra portata: dare anche ai bambini più poveri – pensiamo ai profughi siriani – la possibilità di accedere all’eccellenza medicoscientifica che offriamo ai bambini italiani e farlo in loco, formando staff medici e infermieristici locali; perché noi vogliamo lavorare con il Sud del mondo e non solo per il Sud del mondo.

Qual è il livello della sanità in Giordania e nei Territori palestinesi?
Le realtà con cui collaboriamo - l’ospedale Sacra Famiglia di Betlemme e l’ospedale italiano di Karak - hanno entrambe un ruolo consolidato e il nostro compito è integrare le loro competenze con le nostre. A Betlemme offriremo soprattutto un supporto formativo, mentre a Karak la nostra attività è anche di ricerca e cura e valorizza il ruolo delle famiglie. Sono entrambe missioni di cooperazione che uniscono l’aspetto umanitario a quello scientifico, perché, attraverso le convenzioni, trasferiamo il sapere dell’ospedale pediatrico e lo mettiamo a disposizione delle periferie del mondo. È il nostro modo di declinare la dimensione della Chiesa in uscita indicataci da papa Francesco e risponde alle esigenze sanitarie di quei territori.

Questo significa che non organizzerete viaggi della speranza?
Nei limiti del possibile è così: se poi ci sono casi che richiedono terapie o interventi chi- rurgici particolari, si trasferiscono i pazienti in Italia, ma resta un’eccezione perché la vera cooperazione si fa trasferendo nel Paese le cure d’eccellenza, adattandole al livello tecnologico e scientifico disponibile, ma sempre generando uno scambio di conoscenze che fa crescere.

Quest’approccio riduce anche i costi?
Non è quello il criterio che ci guida: alla base di questa impostazione vi è la convinzione che lo ' scambio' che fa crescere sia la modalità giusta per condividere il sapere del Bambino Gesù. Vede, un ospedale della Chiesa non è un ospedale qualsiasi: è un ospedale del mondo e deve fare in modo che tutti gli uomini, realmente, abbiano una vita piena, com’è possibile solo universalizzando l’accesso alle cure mediche e alle migliori conoscenze scientifiche.

Qualcuno dirà che così facendo togliete risorse alla ricerca.
Noi non facciamo profitti ed è giusto reinvestire l’utile per crescere, tant’è vero che oggi siamo il primo ospedale pediatrico d’Europa. Ma quando mi chiedo se vogliamo essere il primo nel mondo o, pur tenendo alto il livello, arrivare a curare quelli che gli altri non curano… ecco, credo che la visione di un ospedale che ha le radici nel Vangelo debba essere la seconda.

Vale per tutta la sanità cattolica?
Tutta la sanità cattolica ha bisogno di visione, per non chiudersi.

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