venerdì 16 febbraio 2018
Hanno già casa e cure i 150 profughi arrivati coi canali umanitari, possibili grazie all'intesa tra la Cei e il governo. Decine le diocesi che si sono rese disponibili per ospitare le nuove famiglie
Abbas e gli altri: così si rinasce dopo l'inferno della Libia
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L’emozione d’essere accolti, per la prima volta nella loro vita. I sorrisi, le carezze, persino gli uomini in divisa – sono quelli dell’aeronautica, in prima fila sul piazzale dell’aeroporto di Pratica di Mare – che si fanno avanti per salutare. Quegli uomini in divisa che fino a ieri erano sempre e solo aguzzini, spietati. Sono arrivati da un giorno, in Italia, i 150 profughi salvati dai centri di detenzione libici attraverso i corridoi umanitari della Cei e la vita è già cambiata per sempre.

C’è un bimbo fra loro, Abbas, avrà 7 o 8 anni e fatica a deglutire: il medico che lo visita parla di una brutta faringite, bisogna farlo vedere subito da un pediatra per evitare complicazioni. È la prima telefonata che parte dal responsabile Ufficio immigrazione della Caritas, Oliviero Forti, alla volta della Caritas di Brescia, che accoglierà la famiglia: ieri mattina l’appuntamento era già fissato. E il piccolo è in cura. Come la giovane donna sola che ormai da 7 mesi viveva nella prigione libica da cui l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati l’ha prelevata: vittima e testimone di ogni forma di violenza, devastata fisicamente e psicologicamente. Qualcuno, già da oggi, la ascolta e la segue in un percorso di sostegno che le ridarà dignità, e futuro.

Eccola, l’accoglienza possibile. Grazie all’iniziativa dei corridoi umanitari, condotta per la seconda volta nel Paese nordafricano dal governo italiano e dall’Acnur insieme alla Chiesa italiana (la prima aveva portato in Italia 162 profughi lo scorso dicembre), in queste ore stanno trovando sistemazione da Nord a Sud 73 donne, 59 uomini e 19 minorenni di nazionalità eritrea, somala, etiope e sud sudanese, tutti provati da un lungo periodo in condizioni disumane di prigionia, e con i requisiti per essere accolti come rifugiati. Tra loro anche alcuni neonati. La Cei d’altronde, che copre le spese dell’operazione, ha creduto da sempre nello strumento dei corridoi umanitari «per la promozione e l’implementazione di vie legali e sicure d’ingresso», come ribadito dalla nota con cui la Caritas ha accompa- gnato gli arrivi di mercoledì notte. E il risultato delle prime due iniziative è anche che sono decine le diocesi ad essersi rese disponibili per accogliere le famiglie di profughi, segno di una cultura dell’accoglienza che si sta diffondendo sul territorio. Più forte della diffidenza e dell’odio.

Tra 15 giorni nell’ambito del programma dei corridoi umanitari arriveranno altre 114 persone dall’Etiopia: tra loro moltissimi malati, e ancora bambini, giovani coppie, donne sole. Molti di loro conoscono già le strutture che li ospiteranno: «La prima domanda che ci fanno quando li incontriamo, e salgono sull’aereo, è dove li porteremo. Dove saranno, domani – continua Forti, che è in partenza per Addis Abeba –. Ecco perché abbiamo deciso di far loro vedere delle fotografie, dei video delle case dove abiteranno e delle persone che incontreranno ». Si parte con la certezza del futuro al posto della paura di morire in viaggio.

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