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Figli presto saliti al cielo, genitori che li raccontano

Guido Mocellin sabato 6 gennaio 2024
Non conoscevo la storia di Silvia Tassone, sebbene il libro È nata una luce di nome Silvia, in cui i suoi genitori Vito ed Elena Apicella la raccontano, sia uscito più di quattro anni fa. Partendo da un post di Emanuela Molaschi uscito su “Korazym” il 4 gennaio (bit.ly/47ndJXh) trovo che, con in mano quel libro, l’ha divulgata a suo tempo nell’infosfera ecclesiale don Francesco Cristofaro (bit.ly/3vnMIWq), sacerdote calabrese disabile, oggi molto popolare sui social e anche in libreria (recentemente con La speranza che cerchi, BUR). E pure Paola Belletti, sull’edizione italiana di “Aleteia” (bit.ly/48AJfSA). E Teresa Pittelli su “L’Esuberante” (bit.ly/41JZquK), la fonte su cui si è fondato il recente post di “Korazym”. Silvia Tassone è una bambina di Soverato (Catanzaro) alla quale nel 2006 è stato diagnosticato un tumore osseo maligno e molto aggressivo. Ha vissuto la malattia con intense espressioni di fede e di abbandono a Gesù, come: «Ho capito perché Gesù permette tutto questo! Con la mia sofferenza guariranno tanti bambini, e poi dobbiamo pregare anche per tutti quei genitori che non riescono a farlo!», o «Io non ho bisogno di chiedere niente [attraverso la preghiera] perché mi sono venduta a Gesù fin da piccola». L’8 dicembre 2007, a 11 anni, è nata in cielo. Una fede straordinaria che continua Attraverso la pagina Facebook “Una luce di nome Silvia” (bit.ly/41Lp16A) e i propri profili social i genitori, in particolare la mamma, continuano a coltivare nella fede, come hanno fatto con il libro omonimo, la memoria della loro bambina e della sua «testimonianza di vita nell’amore di Dio», condividendo e allargando la “fama di santità” che essi, implicitamente, le riconoscono. Nel post dell’8 dicembre 2023, sedicesimo anniversario della morte, si legge: «Silvia cara, grazie! Continua a guarire le nostre ferite e facci guardare a Maria Immacolata come tu stessa l'hai guardata, da figlia amata». Uno precedente (17 luglio), molto ampio, comincia con le parole: «Umanamente è innaturale sopravvivere al proprio figlio, ma nel disegno di Dio no»; dopo aver descritto l’amore per la vita di Silvia, l’autrice aggiunge: «Diceva che la vita è un dono e non va sprecata» e «tutto è dono e dovremmo ringraziare Dio per ogni cosa che riusciamo a fare». E ancora: «Silvia ci ha donato bellezza, capacità riflessiva e, nella sua terribile condizione, si è sentita profondamente amata da Dio e questo amore è diventato fecondo». Di pochi giorni prima (13 luglio) quest’altro, con una frase della bambina, «spero che tutti i malati che useranno il mio letto e passeranno dalle macchine sotto le quali sono stata, ricevano tante grazie per quante sofferenze ho patito io!», che la madre legge come «la freschezza della santità più vera, più pura», un «richiamo al continuo dono di sé». Come Silvia altre figure da ricordare Mi sono tornati in mente, conoscendo online Silvia Tassone e i suoi genitori, altri incontri simili che ho fatto in rete negli scorsi anni. Penso ad Anna Mazzitelli e a Stefano Bataloni, che tra il 2014 e il 2019 (poi più raramente) hanno affidato al blog “Piovono miracoli” (bit.ly/3vo6t03) e al libro “Con la maglietta a rovescio” la memoria della fede limpida del loro bambino Filippo, morto a otto anni e mezzo dopo aver lottato con la leucemia da quando ne aveva due, e della prova che essi anno attraversato «di accompagnare un figlio» verso la vita eterna. O a Maria Letizia Tomassoni, la mamma di Marianna Boccolini, morta a 18 anni per un incidente: anche qui una pagina Facebook (bit.ly/3cU7uAt), il libro “Un mondo a colori” di fra Massimo Reschiglian e il docufilm omonimo, a testimoniare la spiritualità di questa ragazza, che «aveva dentro l'infinito», e insieme la volontà che questa testimonianza sia conosciuta. Naturalmente non è detto che il cammino ecclesiale di Silvia Tassone, Filippo Bataloni e Marianna Boccolini debba seguire per forza le orme di quello di Carlo Acutis. Egli, con un contributo certamente significativo da parte della Rete e complice la sua stessa familiarità con i dispositivi digitali (era ancora “servo di Dio” quando, nel 2016, veniva autorevolmente candidato a patrono di Internet) è giunto nel 2020 alla beatificazione, e dopo di allora ha visto la stessa Rete attestare la crescita ininterrotta della devozione di cui è oggetto. Ma certo è un guadagno in sé che attraverso siti e social media si possano conoscere queste duplici testimonianze: di figli che tanto intensamente hanno sentito su di sé l’amore di Dio e di genitori che in ciò hanno trovato consolazione dal lutto di averli visti salire al cielo. © riproduzione riservata