Un diacono per la Nba: il sogno di Joe Mazzulla, coach dei Boston Celtics

L'allenatore dei Boston Celtics: «Ho sempre desiderato il diaconato. Dio mi ha dato il lavoro dei sogni. Come posso vivere pienamente rimanendo grato?»
November 12, 2025
Un diacono per la Nba: il sogno di Joe Mazzulla, coach dei Boston Celtics
Il coach dei Boston Celtics, Joe Mazzulla /Ansa
Scommesse illegali, infiltrazioni mafiose, decine di arrestati compresi giocatori e allenatori. È curioso che in uno dei periodi più bui del dorato mondo del basket Nba i riflettori si accendano anche su un protagonista decisamente controcorrente. Joe Mazzulla, coach dei Celtics, che nel 2024 ha regalato a Boston il 18° titolo della propria storia diventando la franchigia più vincente, ha “scandalizzato” il mondo della palla a spicchi con una dichiarazione sorprendente. Se è vero che non ha mai nascosto la sua fede cattolica questa volta però è andato oltre. Nel podcast Godsplaining il padre domenicano Joseph Anthony Kress gli ha chiesto: «Qual è il tuo prossimo obiettivo professionale?». Era lecito aspettarsi “un altro titolo Nba”, “la conquista dei playoff” o “un nuovo trofeo”… Invece ha stupito gli ascoltatori dicendo: «Sono appena diventato idoneo per essere ordinato diacono, qualcosa che ho sempre voluto fare. Ecco qua. Ci sto pensando seriamente». Per la Chiesa il diaconato è il primo grado del sacramento dell’ordine. Un passo necessario verso il sacerdozio ma i diaconi permanenti possono essere anche coniugati come coach Joe, sposato dal 2014 con Camai Roberson. Sua moglie, il figlio Emmanuel e il figliastro Michael sono oggi «le persone più importanti» della sua vita.
Il trionfo con Boston non l’ha cambiato, anzi l’ha messo in guardia: «Credo che vincere sia per me la cosa più spaventosa, perché è come se lottassi con Dio. Mi chiedo: divento avido e voglio sempre di più? Come trovare spazio per desiderare di più e allo stesso tempo essere grato per ciò che Dio ti ha già dato? La mia paura più grande è che, tra dieci anni, mi svegli e sia come il giovane ricco del Vangelo - che la vita sia passata e io non sia disposto a rinunciare ai miei tesori terreni, perché avrò dato tutto alla mondanità».
Nato a Johnston negli States nel 1988, Mazzulla è orgoglioso delle sue radici italiane rivelate anche dal cognome (la famiglia del padre è originaria di Itri, in provincia di Latina). Così come è fiero dell’educazione ricevuta: «Sono stato fortunato, soprattutto perché sono cresciuto in un ambiente in cui la fede e il cattolicesimo facevano parte della vita quotidiana. Vivevo a mezzo chilometro da una chiesa. Andavo a Messa la domenica e ho frequentato scuole cattoliche dall’asilo fino al liceo». Una luce anche nel periodo più buio. Nel 2009 è stato perfino arrestato per un’aggressione in un bar. Ma è riuscito a fare i conti col suo passato, come ha spiegato qualche anno fa: «Tutti pecchiamo…Non sono perfetto. Ho fatto degli errori. Ho lavorato per reinventarmi. So chi sono e conosco gli errori che ho commesso. È importante esserne sicuri se vuoi essere autentico con le persone». 
Decisivo per la sua svolta è stato l’amico e padre spirituale, padre Marcel Taillon, che conosce fin dai tempi della scuola. L’ha ribadito anche nel podcast: «Avere un sacerdote costante nella tua vita, un insegnamento continuo ma anche una guida che ti chieda conto delle tue scelte… lui è stato presente in tutte le fasi della mia vita: al liceo, all’università, all’inizio della carriera, nel matrimonio. E ora siamo tornati entrambi nel New England, dove tutto era cominciato. È una grazia camminare ancora insieme nella fede». 
Coach Joe non ha dubbi sul fatto che si tratti di una lotta quotidiana: «Credere davvero che ciò che Dio dice di te sia vero. È semplice da dire, ma difficilissimo da vivere. Per tanto tempo non ho creduto che ciò che Dio diceva di me fosse vero. Quando lo dimentichi, vai a cercare menzogne: è più facile credere che la tua identità sia nel basket, piuttosto che nel fatto che qualcuno è morto per te e ti ha donato la sua vita». La fama, il denaro, il successo anche nel campionato di basket più bello e importante del mondo non bastano. C’è un bisogno forte di dare significato alla propria esistenza che riguarda tutti, anche le star. Fino al punto di mettere la propria fede al servizio della comunità come nel diaconato. C’è un precedente recente in Nba. Nel 2020 ha fatto scalpore la svolta del più temuto degli arbitri: dopo 25 anni di carriera e oltre 1.500 partite arbitrate, Steve Javie è diventato diacono di una parrocchia vicino Philadelphia.
Adesso la storia si ripete con Mazzulla consapevole che si tratti di una scelta impopolare: «La lotta di chi ha fede», ha ammesso, «è sapere che deluderai le persone. Cerco di vivere come Cristo, ma a volte mi chiedo: come avrebbe gestito Gesù Instagram?». Il coach dei Celtics però racconta che sua moglie lo accompagna spesso durante la stagione Nba: «Credo sia importante lavorare sul matrimonio tanto quanto sull’allenamento. Durante i playoff, è presente a ogni partita. E andiamo a Messa insieme ogni giorno e ogni domenica». Una fede condivisa in famiglia e anche una particolare devozione protagonista di un curioso rituale pre-partita: la recita del Rosario con una corona fatta di legno proveniente dal vecchio parquet dei Boston Celtics. Una pratica iniziata da bambino, nelle scuole cattoliche: «Alla St. Mary’s facevamo il Rosario vivente. Ogni studente rappresentava una “decina”, e si passava il microfono da uno all’altro. È da lì che tutto è cominciato». Un’eredità preziosa che riassume tutta la sua filosofia di vita: «Dio mi ha dato il lavoro dei miei sogni in giovane età. Come posso viverlo pienamente, restando presente e grato? Combino le mie passioni: basket, Rosario, i Celtics. Questo rituale mi aiuta a restare centrato e consapevole della responsabilità che Dio mi ha affidato».
STEVE JAVIE, L'EX ARBITRO OGGI PREDICA IN CHIESA
Un tempo era considerato il più severo dei fischietti. Oggi annuncia a tutti la misericordia di Dio. È davvero sorprendente la svolta di Steve Javie ex arbitro di basket della celebre Nba. Nato e cresciuto a Philadelphia, Javie adesso 70enne, si è diplomato alla La Salle College High School e alla Temple University. È stato arbitro nella massima lega nordamericana per 25 anni fino al 2012: ha diretto più di 1.500 partite di stagione regolare, 240 partite di playoff, 23 finali e due All Star Game. Nel 2019 è diventato diacono permanente nell’arcidiocesi di Filadelfia.
«Per 15 anni ho arbitrato le finali Nba - disse - ho diretto delle gare-7 decisive ma niente può essere paragonato a questo: è una sensazione che non riesco a descrivere». A chi non riusciva a comprendere la sua svolta spiegò: « È una chiamata, una vocazione, qualcosa che non era mai stata una mia aspirazione». Via il fischietto ha intrapreso dunque un lungo percorso spirituale che lo ha visto ottenere un master in teologia e frequentare seminari di filosofia. Decisiva però è stata la donna della sua vita: «Ho incontrato la mia futura moglie, Mary Ellen, in aeroporto: io da arbitro viaggiavo sempre, lei lavorava per US Airways. Ho scoperto la sua fede religiosa e allora per far colpo su di lei per il nostro secondo appuntamento le ho proposto di vederci in chiesa: un’ora di Messa mi faceva guadagnare il diritto a passare tutto il pomeriggio assieme, mi sembrava un buon compromesso». Ma quelle ore trascorse in Chiesa l’hanno indotto a una profonda riflessione sul senso della sua esistenza. Il resto è storia recente. Lo scorso fine settimana al convegno ManUp South Jersey di Haddonfield sul tema “Uomini di fede, messaggeri di speranza” c’era tra i relatori anche il diacono Javie che oggi “fischia” per richiamare tutti ad alzare lo sguardo.

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