«Sono Tadej Pogacar, il collezionista. Di vittorie»

di Pier Augusto Stagi
Il fenomeno sloveno che in Ruanda si è laureato di nuovo campione del mondo adesso punta l’Europeo e la quinta affermazione consecutiva al Lombardia. «Il successo non è mai scontato»
October 1, 2025
«Sono Tadej Pogacar, il collezionista. Di vittorie»
Ansa | Tadej Pogacar
Il collezionista non teme di annoiarsi. Se è per questo non si preoccupa neppure di chi dice di provare sentimenti discostanti da chi invece ad ogni sua impresa prova meraviglia. « Non ci posso fare nulla, ognuno ha la propria sensibilità e so anche che non si può piacere a tutti. Di una cosa io sono certo: vincere come domenica a Kigali a me è piaciuto un sacco. Quanta fatica, ma quanto godimento».
Il collezionista è Tadej Pogacar, 27 anni compiuti il 21 settembre scorso, per il secondo anno consecutivo campione del mondo e da cinque numero 1 nel ranking del ciclismo. Dopo essere stato il più veloce sul circuito ruandese è stato velocissimo anche a tornare a casa. Alle 20.30 di domenica sera aveva il primo volo per rientrare e lunedì - all’ora di pranzo - era già nella sua casa di Montecarlo. «Se non ho il desiderio di andare in vacanza? Certo che sì, ma ho ancora quindici giorni nei quali devo rimanere concentrato. C’è l’europeo e poi il Lombardia, corse alle quali tengo e spero di poter dare il massimo», dice il fresco bi-campione del mondo. Domenica, in Francia, dipartimento Drome-Ardeche, lo aspetta la sfida continentale, la maglia bianca a stelle che ancora gli manca: ed essendo un collezionista…
«Mi piace vincere ciò che non ho ancora vinto. Mi piace anche correre con la maglia della mia nazione. Sono orgoglioso di contribuire alla visibilità della mia Slovenia attraverso lo sport, dove siamo forti in molti sport e non solo nel ciclismo », ci spiega con orgoglio. Sulla sua strada ritroverà Remco Evenepoel, che ai recenti mondiali ha provato tutto e il contrario: dalla gioia di vincere per la terza volta il titolo iridato andando a riprendere e superare nientemeno che Tadej (alla fine 4°, ndr), alla scoppola rimediata domenica scorsa nella prova in linea, dove non ha saputo rispondere all’accelerazione dello sloveno ed è andato letteralmente nel panico, lasciandosi poi andare ad una crisi di nervi che non l’ha certo agevolato quando si è trovato immediatamente dopo a gestire un problema con la sella della sua bicicletta: bastava un attimo di calma e di lucidità e, visto come poi ha pedalato, avrebbe anche avuto la possibilità di rimediare a quel momento di difficoltà. Ma il belga si è rifatto subito agli Europei conquistando un altro oro a cronometro dopo il titolo iridato a Kigali. Detto questo, della partita farà parte anche Jonas Vingegaard, il grande battuto al Tour de France e vincitore, poi, della Vuelta.
«Il percorso sarà esigente e questo mi serve anche in chiave Lombardia, ma già che ci sono…», dice sornione il campione iridato. Sa perfettamente che ha preso corpo anche una corrente di pensiero che sostiene che vince troppo e fa di conseguenza del male al ciclismo, togliendo interesse a questo sport, perché quando parte è come se calasse in contemporanea il sipario… «Ma non è stato così semplice e scontato di come viene raccontata la mia prestazione – cerca di spiegare Tadej -. Ho sofferto come non mai, anche perché speravo di restare con qualche avversario in più, per dividerci il lavoro e la fatica, ma la corsa non puoi solo immaginarla, ma la devi vivere, e quando mi sono trovato con Ayuso e Del Toro, mi sono detto: proviamoci. Poi, purtroppo, si sono staccati troppo presto e a quel punto mi sono ridetto: proviamoci. Forse qualcuno si annoia un po’, ma io mi diverto un sacco e voglio continuare a farlo anche in futuro».
Si diverte e diverte, perché in ogni caso la stragrande maggioranza è dalla sua parte, rapita dal talento di uno degli sportivi più grandi di sempre che azzarda, prova, alla faccia del tatticismo e delle strategie studiate a tavolino. « È chiaro che ci si prepara, ma una corsa poi va vissuta, letta e interpretata, lasciandosi guidare dalle proprie sensazioni, e le mie, domenica, erano buonissime». Se gli si chiede cosa si porterà dietro dell’esperienza africana non ha dubbi «Tutto. Una maglia iridata che desideravo tenere e tanta fatica. Ritmo tremendo, fin dall’inizio, così abbiamo preso in mano la corsa e quando siamo arrivati sul Mont Kigali ho cercato di sfoltire il gruppo. Del primo mondiale africano sono rimasto semplicemente sorpreso: organizzazione perfetta, grande accoglienza e calore, non solo meteorologico, un posto incantevole, che vale la pena rivedere con calma: ci tornerò con Urška (Žigart, la fidanzata, anche lei ciclista professionista, ndr)».
L’Africa nel cuore, la medaglia d’oro al collo, la maglia iridata sulla pelle: l’impressione è che lo sloveno non abbia mai avuto cedimenti, ma non è così… «Contavo i chilometri più di ogni altra cosa – ha raccontato in conferenza stampa dopo l’impresa . Ho trovato un po’ di motivazione extra quando è arrivata la macchina della nazionale e Uros Murn (il ct sloveno, ndr) mi ha incoraggiato dandomi un bello slancio. Ho conservato abbastanza forze per gli strappi finali, ma solo a 3 chilometri dal traguardo ho capito che era fatta. Vincere il primo mondiale è un’emozione unica e indimenticabile, ma confermarsi con i favori del pronostico addosso è impagabile. Avere realizzato un’impresa di questo genere su uno dei percorsi più duri che ho fatto ai Mondiali mi rende anche molto orgoglioso». Adesso lo attende la sfida continentale, per una maglia di campione d’Europa che lo solletica, anche perché solo Peter Sagan ha saputo abbinare nello stesso anno titolo mondiale con quello europeo. E poi c’è la cinquina consecutiva da centrare a Il Lombardia, corsa che da sempre lo esalta e che l’ha solo visto vincere. Non per niente viene chiamato il collezionista.

© RIPRODUZIONE RISERVATA