Giocare a calcio per uscire dal buio

Il docufilm "Come fosse luce" di Corrado Punzi racconta l'avventura lunga 40 anni dell'Acsus Lecce, prima squadra italiana di calcio a cinque per non vedenti
November 29, 2025
Giocare a calcio per uscire dal buio
Un'immagine del docufilm di Corrado Punzi "Come fosse luce" sull'Acsus Lecce, prima squadra italiana di calcio a cinque per non vedenti
La mancanza della vista è oggi più di ieri un peso, un vero problema, un trauma rispetto al quale occorre tanta forza che difficilmente da solo uno ha per poterlo gestire». Davide Bongiovanni è un uomo non vedente dall’età di nove anni a causa di un glaucoma, ma soprattutto è un calciatore. Ed è uno dei protagonisti del coinvolgente docufilm di Corrado Punzi Come fosse luce, presentato in anteprima nazionale alla XXVI edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce e premiato domenica scorsa. La produzione Passouno Cinema, in collaborazione con US Lecce, continua il suo successo nei festival italiani e internazionali: è stata premiata al Matera Sport Film Festival ed è tra i finalisti del 45° Paladino d'Oro - Sport Film Festival al via il primo dicembre.
Al centro della storia c'è l'Ascus Lecce, la prima squadra italiana di calcio a cinque per non vedenti, nata nel 1985. Quarant'anni fa, quando in Italia non si parlava ancora di sport inclusivo, un gruppo di ragazzi aveva iniziato a giocare con palloni artigianali. «Abbiamo messo cordicelle e tappi legati al pallone in modo che facesse rumore», ricorda Salvatore Peluso, fondatore del club. «Eravamo un gruppo di circa dieci persone, avevamo trovato un modo per fare uscire di casa i ragazzi». Peluso, cieco dall'infanzia per l'esplosione di un ordigno bellico, non ha inventato solo una soluzione tecnica, ovvero il pallone sonoro: ha inventato un mondo. Ed è stato lui a far nascere la squadra e il campionato italiano calcio non vedenti. È dalle sue parole che nasce il titolo del film: «I giocatori di calcio a cinque si abituano al buio come se fosse luce».
Accanto ai veterani c'è Alessio Ingrosso, ventenne ipovedente che nel film cerca sé stesso più che un pallone. «Mettermi in gioco mi ha aiutato a parlare, confrontarmi e stare meglio con me stesso», racconta. È lui a comparire nella locandina, con la mascherina nera: perché nel calcio per non vedenti chi vede “un po’” deve porsi alla pari degli altri. Per Alessio quella benda rappresenta la paura di diventare cieco, ma alla fine si lascia convincere dalla sua più cara amica. E qui il documentario acquista la poesia del romanzo di formazione, dai primi palleggi in campo fino alla commovente scena in cui lui la benda e la porta a camminare sulla spiaggia verso il mare per farle provare le sue sensazioni.
«L'obiettivo non è parlare di persone non vedenti che giocano a calcio: lo sport diventa metafora delle difficoltà nella vita e della lotta per affrontarle», spiega il regista Corrado Punzi, sociologo della comunicazione all'Unisalento di Lecce. «Il mio intento è stato spingere lo spettatore a stimolarlo a pensare a come potrebbe comportarsi nel momento in cui si presentano nella sua vita momenti di difficoltà».
Il documentario nasce da un'indagine sul campo insieme ai cosceneggiatori con cui ha girato alti film a carattere sociologico, il giornalista Stefano Martella e Francesco Lefons. «Volevo anche studiare il rapporto forte tra la regia e il non essere vedenti, perché il regista deve pensare il mondo tramite le immagini» spiega ad Avvenire. «Ci siamo avvicinati all’Acsus Lecce per capire i problemi di una generazione di uomini che hanno fondato la squadra di calcio», racconta Punzi. «Era una storia grandiosa perché la squadra ha vinto di più, ma sono nella parabola finale, i calciatori hanno una certa età. Il problema principale è che non riescono ad avere il ricambio generazionale, anche perché in provincia non trovano abbastanza ragazzi».
Di qui l'idea narrativa: «Io ho pensato di cercare ragazzi non vedenti per avvicinarli al calcio, sono andato a conoscere le famiglie. Finché ho convinto Alessio a farsi seguire dalla cinepresa nella vita e a incontrare la squadra. Alessio alla fine ha davvero cominciato ad allenarsi con loro. Anche se dopo due mesi ha rinunciato. La realtà non è semplice, ma comunque questa esperienza e l'amicizia lo hanno spinto a una maggiore autonomia».
Un elemento centrale del film è il rapporto tra madri e figli. «Le madri quasi estensione dello sguardo dei figli», osserva il regista. «Davide ricorda come i genitori da bambino lo hanno portato in tutti gli ospedali europei per salvargli la vista, il racconto delle notti passate abbracciato a sua madre mi ha scosso. Le madri alla fine della proiezione mi hanno detto che è stato un processo catartico».
L'ambizione del documentario va oltre la cronaca sportiva e sottolinea «la vera dignità che emerge nelle difficoltà della vita», conclude Punzi.
Oggi Ascus Lecce è la squadra più titolata d'Italia nel calcio non vedenti: ha vinto dieci scudetti, cinque supercoppe e cinque coppe Italia. Ma, come dice Salvatore nel film, la soddisfazione è un’altra: «Quando segni a una persona vedente, tocchi il cielo con un dito». Un modo per liberarsi dal pietismo e dai pregiudizi, trasformando il buio in luce.

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