La sfida all’ultimo ceppo dei taglialegna sportivi
A Milano grande successo per il Mondiale del taglio della legna sportivo: 120 atleti da 20 nazioni con asce e motoseghe per una disciplina nata 150 anni fa

Maneggiano asce da vichinghi, si presentano sfoderando lame dentate immense, e motoseghe che spaccano i timpani. Poi azzannano tronchi d’albero e si cibano di segatura: mostri di bravura, atleti veri. Sono arrivati in 120 a Milano per sfidarsi, portandosi addosso solo braccia larghe come le cosce di tori, e pance da abbonati ai birrifici. Ma in realtà sono agili come gazzelle, tagliati per vincere e per dare un senso al lato sportivo di un lavoro nobile e antico che è diventato anche competizione.
Non è la descrizione di un film distopico, ma lo Stihl Timbersports World Trophy, il Mondiale del taglio della legna sportivo. Una disciplina che non lo immagineresti mai ma è nata più di 150 anni fa, in Australia e Nuova Zelanda prima, e in Canada e negli Stati uniti poi. Leggenda vuole che nel 1870 due boscaioli di Ulverstone, in Tasmania, decisero di scommettere su chi di loro avrebbe abbattuto un albero nel minor tempo possibile. La gara tra i due ebbe talmente successo che in seguito furono organizzate decine di competizioni, regolarmente documentate. Erano però tornei diversi uno dall’altro, e per questo non esistevano campionati ufficiali. Insomma, gli alberi non sono tutti uguali. E ogni bosco aveva (e ha ancora) le sue regole e tradizioni. Fino al 1890, quando venne fondata l’Associazione australiana dei taglialegna, che diede vita al primo campionato del mondo degli accettatori più o meno compulsivi.
L’ultimo in ordine di tempo l’ha ospitato l’Allianz Cloud Arena di Milano, dove 4.000 appassionati hanno esaurito in fretta i biglietti per vedere la sfida all’ultimo ceppo tra i migliori specialisti della disciplina: 120 atleti provenienti da 20 Nazioni a contendersi il Mondiale a squadre, e altri 16 la sera dopo a battersi per quello individuale.
Le prove che hanno affrontato derivano tutte dalle pratiche forestali. A iniziare dall’Hot Saw, disciplina in cui, armati di motoseghe pesanti e potentissime, gli atleti devono tagliare tre sottili dischi di legno il più rapidamente possibile, complessivamente entro non più di 15 centimetri, da un blocco di legno ancorato orizzontalmente. Poi ecco la Single Buck: qui la fetta di legno va tagliata con una sega a mano lunga circa due metri e fornita di denti d’acciaio simili a quelli di un caimano. Ma non è male anche la Standing Block Chop, variante che simula l'abbattimento di un albero con un'ascia dove un blocco di legno ancorato verticalmente deve essere tagliato il più velocemente possibile da entrambi i lati.
Visto che questi energumeni non si fanno mancare nulla, c’è pure l’Underhand Chop: in piedi su un blocco ancorato orizzontalmente, devono tagliarlo da entrambi i lati. Qui l’ascia sfiora gambe e piedi, e basta una distrazione da nulla per passare dallo sport alla tragedia. Vince ovviamente il più preciso, ma soprattutto il più veloce. Perché tra nubi di segatura chiara c’è l’incubo del cronometro contro il quale combattere. Ma la prova più incredibile è la Springboard: gli atleti devono creare delle “tacche” al tronco ancorato verticalmente nelle quali infilare pedane sempre più in alto, scalandole fin quando, a 2.80 metri d’altezza, colpiscono il terminale del tronco per staccarlo. Immaginatevi ragazzoni di 120 chili in equilibrio precario su gradini improbabili sospesi nel vuoto mentre picchiano come fabbri della foresta con mannaie affilate come coltelli giapponesi. Emozioni forti che, a chi piace, diventa spettacolo vero.
A supervisionare il tutto c’era anche Alberto Corbetta, di Seregno, primo e unico giudice internazionale della storia italiana, ex atleta e oggi arbitro inflessibile come una quercia. «Ci preoccupiamo di garantire la sicurezza degli atleti – ha spiegato – che devono indossare dispositivi di protezione, come calze di rete in ferro sulle gambe sotto i pantaloni». Del resto, per manovrare motoseghe da 27 chili, con 80 cavalli di potenza, e catene che girano a 240 chilometri orari, c’è poco da scherzare. «C’è un regolamento di 50 pagine: rispettarlo è fondamentale». Per tutto il resto – anche qui - c’è il Var. Come quello del calcio. Solo che tra i taglialegna nessuno protesta se le telecamere rilevano qualche irregolarità sulla tempistica, come ad esempio nella gara a squadre quando un atleta inizia la sua prova una frazione di secondo prima che il compagno che lo precede finisca la sua.
La nazionale azzurra era composta dal campione italiano Michel Perrin, da Andrea Rossi e Alessandro Ciaponi, rispettivamente campioni nazionali 2024 e 2023, da Alberto Fumagalli, Mattia Puecher e Michael Del Pin, con tutta evidenza predestinato a fare questo sport già nel cognome. Valdostano di Torgnon, 28 anni, Michael Del Pin lavora come meccanico manutentore in una centrale idroelettrica: non taglia tronchi per mestiere, ma da ragazzo si è fatto le braccia alla falegnameria di papà Franco: «Mi aveva mandato a un corso di aggiornamento per usare una nuova motosega – ha raccontato – e grazie a quello ho partecipato ad un training camp che mi ha fatto appassionare a questa disciplina. Essendo uno sport di tecnica ma soprattutto di velocità, non occorre essere un boscaiolo per praticarlo. La maggior parte di noi non lo è, ma serve allenarsi moltissimo: dall’inizio dell’anno avrò tagliato almeno 300 quintali di legna per arrivare pronto al Mondiale…».
Avviso per chi già alza il ditino e non approva per comprensibili ragioni ecologiche: durante queste manifestazioni si usano tronchi coltivati e raccolti in modo sostenibile, e che prevedono la ripiantumazione. Inoltre, dopo le prove, il legno di scarto viene trasformato in pellet o è riutilizzato per iniziative green, come la valorizzazione della biomassa, e per creare materie prime rinnovabili da cui si trae energia elettrica. In Europa ci sono attualmente circa 500 atleti che partecipano attivamente alle competizioni delle Stihl Timbersports Series. Molti tagliano il legno con precisione chirurgica e hanno imparato a conoscerne i segreti anche se fanno tutt’altro nella vita, come la squadra polacca che a Milano era composta esclusivamente da un gruppo di pompieri.
Non esistono dati ufficiali, ma se a livello mondiale il numero dei praticanti si avvicina a 2.000, in Italia non sono più di 30 in tutto. Sport di nicchia, quindi. Anzi, “nicchissima”. Fatale che la nostra nazionale si sia piazzata solo al 10° posto, comunque onorevole, ma in una lotta impari. Soprattutto con gli specialisti australiani, che per la sesta volta consecutiva hanno vinto la prova a squadre. Il migliore in assoluto invece, è stato Jack Jordan (Nuova Zelanda) che ha trionfato nella prova individuale. Sedendosi alla fine su un trono che, come scriveva Balzac, altro non è che un pezzo di legno rivestito di velluto.
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