Hockey senza limiti, la sfida del portiere torinese Araudo
Sulla sedia a rotelle da quando aveva 13 anni: «La disabilità mi ha cambiato la vita ma non in peggio. Grazie allo sport ora punto alla quinta paralimpiade»

«Se fai lo sport che ami, con passione, le fatiche non ti pesano e i risultati non sono così importanti». Gabriele Araudo, classe 1974, è uno dei protagonisti del campionato italiano di para ice hockey, cominciato in Alto Adige con il primo week end di gare tra il Western Para Ice Hockey Team, formato dai giocatori dei Tori Seduti di Sportdipiù e dell’Armata Brancaleone Polha Varese e dei campioni in carica dei South Tyrol Eagles. Un torneo, iniziato con la doppia vittoria (6-0 e 5-4) degli altoatesini, che ha anche lo scopo di preparare gli atleti azzurri alle Paralimpiadi di Milano Cortina 2026.
Giochi, a cui Gabriele parteciperà per la quinta volta. «Io sono arrivato al hockey vent’anni fa - ricorda il 52enne torinese - l’ho scoperto assolutamente per caso. Mio padre ha fatto il volontario alle Olimpiadi e Paralimpiadi del 2006. In quell’occasione la Nazionale iraniana mi invitò a passare una giornata al Villaggio Olimpico con loro». «Un anno dopo - dice ancora - sempre mio papà fece il volontario ai Europei di para ice hockey di Pinerolo. Durante quell’evento mio papà aveva parlato con il capitano dei Tori Seduti e gli aveva chiesto come potessi fare per giocare a Ice Hockey e lui mi aveva invitato ai provini al PalaTazzoli a Torino».
Gabriele, colpito a 13 anni da un’infezione virale che l’ha costretto alla sedia a rotelle, si innamora subito di quello che fino a qualche anno fa si chiamava ice sledge hockey. «È uno sport dove devi lavorare tanto - spiega l’informatico piemontese - serve una grande autodisciplina, è veloce, di contatto e di squadra». Una disciplina molto vicina alla sua versione per normodotati. «A parte avere dei tempi di gioco più corti, perché è uno sport faticosissimo- precisa Gabriele, che sta studiando per diventare allenatore - la principale differenza è che noi giochiamo sulla slitta e per spingerci abbiamo a disposizione due bastoni con dei ramponi alle estremità che ci consentono di muoverci sul ghiaccio, ma per il resto le regole fondamentali non cambiano».
Uno sport che dà e che chiede molto, per cui Araudo si prepara duramente. «Con i Tori Seduti - dice il 52enne, di ruolo portiere - mi alleno una volta a settimana, ma io, come i membri della Nazionale, ho sedute supplementari di una o due ore. In più gli HC Torino Bulls mi consente di partecipare alle sessioni delle squadre Under 15 e Under 16. Senza contare che una volta al mese abbiamo il raduno della Nazionale. In tutto più o meno sto sul ghiaccio otto volte a settimana». Tanto lavoro utile anche perché il para ice hockey negli ultimi anni ha corso, anzi, ha pattinato velocissimo. «Se si guardano le partite del 2010 e quelle di adesso sembrano due sport diversi - spiega l’atleta - si è puntato tantissimo sul fisico dei giocatori, il gioco è diventato più rapido, con tiri più potenti e anche la tattica si avvicina sempre di più all’hockey in piedi».
In questo contesto l’Italia, che nella sua storia ha conquistato anche un quarto posto alle Paralimpiadi di Pyeongchang 2018, è rimasta competitiva, vincendo a metà settembre il Mondiale del Gruppo B con un percorso netto (cinque vittorie su cinque) e tornando nella massima serie del para ice hockey mondiale.
«Il nostro obiettivo - spiega Giuseppe Antonucci, consigliere della Federazione italiana sport del ghiaccio e una delle anime di Sportdipiù, associazione con base a Torino che si occupa di sport per disabili- è andare alle Paralimpiadi non solo perché paese organizzatore, ma per i nostri risultati. In ogni caso sportivamente siamo un piccolo miracolo». «Abbiamo un movimento con 30-35 tesserati in tutta Italia - prosegue il dirigente ed ex atleta - non ci nascondiamo, siamo in affanno. Facciamo fatica a trovare giocatori e le ragioni sono varie: la diffusione del hockey particolare sul territorio, la difficoltà di accessibilità delle strutture rispetto ad altre discipline e anche la natura di uno sport che può essere praticato solo da atleti con alcune categorie di disabilità, quelle ad esempio dove non ci sono problemi al tronco e agli arti superiori».
Nonostante questi numeri ristretti sia la Fisg che il Comitato italiano paralimpico credono fortemente nel progetto. «Un accordo con il Cip - racconta Antonucci - consente ai Nazionali di prendere permessi retribuiti per allenarsi senza che questi pesino su di loro. È rivoluzionario per loro e per le loro famiglie». Il lavoro più importante però è quello sulla diffusione del para ice hockey e della pratica sportiva per i disabili. «Spesso lo ripeto a chi incontro - racconta Gabriele Araudo che lavora come formatore Inail- lo sport per chi ha una disabilità fa bene. Tenersi in forma, ad esempio io fuori stagione faccio tantissima cyclette, serve anche per assicurarsi una vecchiaia serena e con meno problemi. Non è importante sempre riuscire a competere ad alto livello, ma tenersi in movimento».
Una scelta, quella di praticare sport che ha cambiato la vita di Gabriele. «Mi ricordo nitidamente quando a 13 anni - ricorda l’hockeista - una dottoressa mi disse che io non avrei più potuto camminare. Nel mio caso la disabilità mi ha cambiato la vita, ma non in peggio. Certo ci sono state le difficoltà, come quando mio padre mi portava a spalle su e giù per quattro piani perché non avevamo l’ascensore, ma lo sport mi ha permesso di fare tante cose, ho viaggiato, mi sono divertito e sono andato a quattro Paralimpiadi e in una di queste, a Sochi, ho conosciuto mia moglie». E tra pochi mesi ci sarà la quinta, quella di Milano Cortina. Non capita a tanti atleti di disputare una rassegna a cinque cerchi in casa. «Abbiamo sempre partecipato ad eventi lontani - conclude - ma nel 2026 sarà speciale poter essere in pista con il supporto dei propri amici, parenti, figli e ci darà di sicuro una carica in più». Un evento che la Fisg spera possa essere l’inizio per il para ice hockey azzurro. «Speriamo- conclude Giuseppe Antonucci - che le Paralimpiadi portino un’ondata di interesse per il nostro sport con tanti ragazzi che si avvicinino a noi, come già era successo dopo Torino e Vancouver».
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