Fabrizio Moro: «La mia musica scaccia via tutte le paure»

Il cantautore romano torna con un album di inediti, "Non ho paura di niente" cui seguirà il tour omonimo che partirà da Roma il 2 maggio 2026
November 14, 2025
Fabrizio Moro: «La mia musica scaccia via tutte le paure»
Il cantautore romano Fabrizio Moro, 50 anni, oggi esce con il suo nuovo album di inediti "Non ho paura di niente" (foto Shipmate)
Un vero cantautore canta ciò che è, ma in questo tempo dominato dai Superficiali pochi artisti riescono ad essere davvero autentici e restare ciò che sono, specie una volta assaporato il gusto dolce amaro del successo, tipo vincere con Ermal Meta Sanremo 2018 con Non mi avete fatto niente. Fabrizio Moro, 50 anni compiuti da poco, ha fatto dell’autenticità la sua cifra stilistica e leitmotiv che ha accompagnato i suoi 13 album, compreso l’ultimo, il 10° in studio, Non ho paura di niente (Bmg). Altri frammenti di un ragazzo di vita degli anni ‘90, nato e cresciuto nella borgata romana di San Basilio. Un dark gentile, dentro al suo cappotto nero da Capitano Harlock metropolitano, Fabrizio Moro è il ritratto della salute, soprattutto mentale. «Nonostante tutto, questo per me è il momento migliore da quando sono nato», dice dietro agli occhiali che lo riparano dal sole di un autunno caldo.
Il suo album, (9 tracce più Prima di domani con Il Tre, bonus track nel vinile) cui seguirà il tour,  "Non ho paura di niente live", parte il 2 maggio 2026 dal Palasport di Roma», è l’espressione fedele di questo stato di grazia e di profondo senso di liberazione che si respira già al primo ascolto.
«Ogni mio disco è una liberazione, perché esce sempre dopo una ricerca molto complicata. Ho il timore costante di perdere la vena creativa. Quando comincio un nuovo album all’inizio brancolo nel buio, poi piano piano, qualcosa si accende, e anche questa volta è andata così. Quando è arrivata la prima luce, Non ho paura di niente, mi sono detto: eccola, questa è la canzone che mi rende giustizia. E da lì la creatività si è sbloccata. Adesso che, dopo cambiamenti e continui traslochi (ben descritti nel brano Scatole) Non ho paura di niente è lo sfogo della parte più coraggiosa che resiste dentro di me».
Quelli della sua generazione si ritroveranno molto nel brano "Sabato", un tempo il “giorno unico” consacrato per il divertimento giovanile.
«Quella canzone rappresenta il confronto tra il Fabrizio di adesso e quello adolescente e lo rivivo attraverso gli occhi di mio figlio, il più grande che ha 17 anni. A me non piace mai aprire un discorso con “prima... o “una volta era meglio”, perché sono frasi che odorano di nostalgia inutile, però penso che rispetto alla generazione di mio figlio sono stato molto più fortunato. Loro hanno pochissimi punti di riferimento, politici, culturali, musicali. Non guardano più neanche le partite della Nazionale in tv. Questa roba qua – indica il telefonino – ha compromesso le relazioni. Ma io non mi stanco mai di trasmettere ai miei figli e ai ragazzi quando li incontro in giro o ai miei concerti questo messaggio: in quella scatoletta troverete solo dei contenuti estetici ma nessuna risposta ai vostri dubbi esistenziali. Penso anche però, che ogni epoca ha i suoi demoni e devi imparare a conviverci».
Uno dei peggiori demoni sono le droghe dilaganti che denuncia nella canzone "Simone spaccia".
«Oggi siamo arrivati al punto che si fa pubblicità alla droga, mentre è la cosa peggiore che possa incontrare un ragazzo. Non lo dico da genitore, né da moralista, chi fa pubblicità alla droga è perché non sa i danni che può causare, spesso irreparabili. Io nella droga c’ero cascato per curiosità, perché venivo da un’infanzia stupenda, e ne sono uscito per vigliaccheria: ho avuto paura di morire. La mia fragilità fisica mi ha salvato, il resto lo ha fatto la musica. Quando trovi uno scopo nella vita e dai tutto per quella passione vitale diventi immune anche dalle dipendenze mortali».
Ma la musica quando è entrata nella vita del giovane Moro?
«A 13 anni. Suonavo la chitarra, facevo il punk: Ramones, Clash, Sex Pistols, era la musica più semplice da suonare. Poi sono passato all’heavy metal e a 16 anni ho cominciato a scrivere le prime canzoni. Scuola interrotta, pensa che “cojone”, al 4° Liceo. Non sopportavo di stare seduto su un banco tutta la mattina e allora sono andato a lavorare come meccanico da mio cugino. Intanto suonavo e un giorno incontro Massimo Mastrangelo, il primo manager di Alex Britti, al quale faccio ascoltare le mie canzoni e lui mi ha tolto dalla strada. A 23 anni con la musica guadagnavo 1 milione di lire al mese, non molto di più di quello che prendevo in officina, ma ero diventato “ricco”, perché finalmente avevo trovato la mia strada».
Sulla strada da “sopravvissuto della musica” sfidando "Superficiali In un mondo di stronzi", cito due titoli del disco. È ancora il Moro di "Pensa", con cui vinse Sanremo Giovani nel 2007: brano diventato un inno “pop civile”, così come il suo cinema ha prodotto due film di impegno civile, quasi pasoliniani.
«Io ho avuto la sfortuna e la fortuna di crescere in un contesto sociale in cui mi dava fastidio tutto, l’ingiustizia di strada, il ladro che rubava il motorino o due che menavano quello più solo e indifeso. Tutto questo mi faceva montare quella rabbia che poi è sfociata in Pensa. Dopo aver visto il film sulla vita del giudice Paolo Borsellino ho sentito dentro di me un urlo rabbioso che diceva: ma tu chi sei per uccidere un altro uomo, specie uno che tutta la vita ha lottato e difeso la legalità e la nostra libertà? Nei due film, Ghiaccio e Martedì e Venerdì, realizzati con il mio amico Alessio De Leonardis, il migliore aiuto regista italiano, in effetti c’è del neorealismo. Cinema e musica sono due linguaggi che mi appartengono. Molte mie canzoni nascono dalla visione di film, visti e rivisti, come il finale splendido di Fight Club del mio amato David Finch. Il sogno più grande sarebbe quello di realizzare delle colonne sonore: i viaggi più belli li ho fatti con in sottofondo la musica dei film di Sergio Leone composta dall’immenso Ennio Morricone».
Qualcosa di immenso è accaduto al suo pupillo, Ultimo, con le sue canzoni ha risvegliato, dopo tre mesi di coma, una ragazzina quando era ricoverata al Bambin Gesù di Roma?
«Non lo sapevo, ma non mi meraviglia, questa è la forza della musica. Niccolò (Ultimo) è un talento pazzesco, si è creato da solo, io sono orgoglioso della nostra collaborazione agli inizi della sua carriera, è stato un incontro che ha dato tanto ad entrambi. Comunque, una storia simile alla sua è successa anche a me due anni fa. Una mamma mi telefona disperata per dirmi che suo figlio, mio grande fan, era stato investito sotto casa davanti ai suoi occhi. Andai a trovarlo in ospedale e lo trovai intubato, allora gli cantai un pezzetto di Portami via, la sua canzone preferita. Dopo un paio di giorni, quella mamma mi chiamò per dirmi che il figlio si era risvegliato. Li sento ancora e sono convinto che anche in quel caso è stata la forza della musica, che poi è la forza dell’amore».

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