mercoledì 31 maggio 2023
Prima italiana alle Terme di Caracalla. Quasi tre ore tra canzone d'autore e musica black. Omaggi alla Romagna e a Tina Turner. Repliche a Roma, Reggio Emilia, Trieste, Caserta, Siracusa, Agrigento
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Zucchero è tornato ed è in gran forma. Nel suo World Wild Tour, che lo sta portando in giro per il mondo, è arrivato il momento delle tappe italiane. Anche se, sorprendentemente, il soul man emiliano non ha un nuovo album da lanciare, e nemmeno un contratto discografico, scaduto con l’uscita dell’ultimo album, D.O.C. del 2019. Ma la missione di Adelmo Fornaciari è la musica, e quello che non gli manca è un repertorio sconfinato e un pubblico fedele. Bastano e avanzano per festeggiare una invidiabile carriera lunga 40 anni, come ha cominciato a fare martedì a Roma nello scenario unico delle Terme di Caracalla, non più tempio solo della lirica. Spazio alla musica, con due omaggi doverosi, alla Romagna alluvionata e alla scomparsa Tina Turner.

E il suo pubblico non è certo rimasto deluso nella sua prima italiana, (replica a Roma il 2, 3 e 4 giugno, poi 4 e 5 luglio in piazza Unità d’Italia a Trieste, 24 e 25 alla Reggia di Caserta, 27 alla Valle dei Templi ad Agrigento, 28, 29 e 30 al teatro greco di Siracusa). Più due date fuori tour “a casa sua”, il 9 e 10 giugno a Reggio Emilia alla Rcf Arena di Campovolo. Con lo sfondo dei ruderi romani, Sugar - emiliano di Roncocesi, classe 1955 - ha tenuto scena per due ore e tre quarti. Introdotto dai gorgheggi della formidabile vocalist camerunense Oma Jali, Zuccchero sale sul palco col cappello a larghe tese e la palandrana damascata che fa molto New Orleans. Alle spalle una band duttile e potente, rodata negli anni, saldamente piantata su due batterie e una sezione di fiati.

E il concerto dà spazio alla sua personalissima miscela di melodia cantautorale italiana e ritmi del sud degli Stati Uniti, tra soul, rythm’n’blues e gospel. Un mix che da sempre valorizza la sua voce, dolce o ruvida alla bisogna, nel solco del suo mito Joe Cocker. Ma dal decollo della sua carriera, con l’album Rispetto nell’86, non si contano più le collaborazioni con tanti altri grandi: Eric Clapton, Sting, Clarence Clemons, Paul Young, fino ai mostri sacri Miles Davis e B.B. King, come pure gioielli italiani da esportazione come Andrea Bocelli e Luciano Pavarotti. Proprio la collaborazione nel 1992 col tenore modenese, per la canzone Miserere, farà scattare il Pavarotti and friends, il concerto di beneficenza per i bambini in guerra, animato da star internazionali fino al 2003.

La scaletta è generosa, 26 brani dal suo ampio song-book (più tre cover) per spaziare tra i due estremi del suo repertorio. C’è lo Zucchero dolce delle ballate lente, suggestive e poetiche, come Dune mosse. E poi Diamante e Un soffio caldo, per le quali ringrazia dal palco gli autori dei testi, Francesco De Gregori e «il maestrone Francesco Guccini». Poi c’è l’altro Zucchero, quello trascinante, che scala le classifiche due gradini per volta e fa ballare tutti in platea. Come con la cubaneggiante Baila, in cui contamina i suoi testi anglo-italiani con dosi di ispanismi che aiutano per i passaggi radiofonici.

Prima della sessione finale una pausa – «per una sigaretta» - in cui lascia la sua band a esibirsi da sola: con una Stayin’ alive dei Bee Gees molto funky; una Nutbush city limits per celebrare “the queen of rock’n’roll” Tina Turner, interpretata dall’eccezionale Oma Jali, e Honky tonky train blues, un boogie anni ‘30 reso popolare da noi nel 1977 come sigla tv di Odeon nell’interpretazione di Keith Emerson. Poi arriva, come svolta del concerto, il duetto virtuale su Miserere, col tenore modenese che canta con Zucchero dagli schermi. Adelmo mette il foulard che gli donò Lucianone. E l’emozione è assicurata.

Per l’ultima parte del concerto, la più black e trascinante, arrivano sul palco passando in mezzo al pubblico, le venti coriste dello Sherrita Duran Gospel Choir, in tunica bianca e foulard rosso. E arriva una coinvolgente Overdose d’amore. Segue a ruota Let it shine, scritta per l’inondazione di New Orleans del 2005. È l’occasione di un omaggio alla sua regione, quando nel testo sostituisce il riferimento al Mississipi e canta invece «Ho visto la mia terra, come un mare andare all’inferno. E un angelo tuffarsi, per non tornare». Applausi. Zucchero dice solo: «Per la Romagna». La musica ha già detto il resto.

Il coro lascia la scena, è ora di alzare il volume, la sezione ritmica spinge, il pubblico è in piedi. Arriva lo Zucchero piccante. Parte Per colpa di chi, con richiami agli artisti del rythm ‘n’blues quando canta «funky gallo» citando la Funky chicken di «zio Rufus» Thomas, o grida «I'm a hootchiee cootchiee man», altro classico reso immortale da Muddy Waters. E quando decolla Diavolo in me, il pubblico balla così forte da far ondulare anche le immagini degli schermi. Stessa baraonda per Con le mani. Gran finale con lo sberleffo goliardico di Solo una sana e consapevole libidine.

Il pubblico torna a casa soddisfatto perché ha assaggiato lo Zucchero melodico e trascinante, quello dolce e quello piccante. Estremi che sono la sua cifra stilistica. Per qualcuno il suo limite. Lui stesso ne è cosciente, quando sul palco si mette a sedere imbracciando la chitarra. «Dicono: Zucchero ha scritto cose così sublimi e poi fa quelle canzonette da bar, da osteria. Non capiscono - si giustifica - che questo lo insegna il blues: i maestri parlavano di malinconia, poi si divertivano, anche la sessualità è importante».

Poesia, ricordi d’infanzia, atmosfere malinconiche. Ma anche doppi sensi, scioglilingua e filastrocche. Da uno che si dice ateo ma usa disinvoltamente la religiosità dei predicatori del sud degli Stati Uniti. Irriverente anche coi miti laici, quando canta il Partigiano reggiano o « avanti popolo con la Lambretta rossa». È così, prendere o lasciare. Se da quarant’anni riempie gli stadi di mezzo mondo, evidentemente il talento mette d’accordo tutti. Ma ci lascia con un interrogativo, quando in conferenza stampa confesserà che Zucchero, il soprannome datogli dalla maestra, inizia a stargli un po’ stretto. «Non so se è ancora il nome che mi rappresenta – confessa - a questa età e con questo bagaglio...». Quel che conta è che continui a portare in giro le sue valigie di buona musica, merce non comune di questi tempi.


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