sabato 29 ottobre 2022
Il grande ex azzurro: «Anche a Londra pazzi per i partenopei. Qualità e ritmo, Spalletti è stato bravo. È stata una fortuna potermi allenare con Maradona»
L' ex giocatore della Nazionale e del Napoli, Gianfranco Zola

L' ex giocatore della Nazionale e del Napoli, Gianfranco Zola - Ansa

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Cercando Zola (o meglio: “chirchende Zola”, nell’idioma della Barbagia) proveranno a rintracciare le ragioni della propria terra, il legame misterioso con le antiche civiltà nuragiche, le malie delle leggende popolari, l’orgogliosa solitudine di chi ha nel Supramonte la propria cifra identitaria. Ai ragazzi della scuola media di Oliena è stato affidato un compito stimolante ma impegnativo: perché il gioco, quasi un divertissement, di interrogare la gente del paese alla ricerca di “tutte le notizie possibili e immaginabili” sul mondo reale e su quello fantastico di Gianfranco Zola per ricavarne un podcast in lingua sarda, offrirà loro una combinazione di storie e di sogni dalle cadenze epiche. Storie e sogni che li porteranno con passo leggero alle radici del mito. Tale è oggi Zola, “Magic box”, per i ragazzi di Oliena che sognano di emularne le gesta. Non è certo un caso se Gianni Mura, giocando d’anticipo come si addice a un visionario, ha paragonato Zola a Ulisse dopo aver accostato Ettore a Gigi Riva, l’altro eroe di Sardegna. Ha giocato d’anticipo anche Gianfranco Zola facendosi trovare, prima ancora d’essere cercato, alla Biblioteca Mario Ciusa Romagna di Oliena. Qui lo ha calamitato da Londra proprio il ricordo di Gianni Mura, con un libro di saggi e di testimonianze da presentare. L’occasione, per Zola, di confrontare le proprie idee sul calcio con un pubblico eterogeneo, i tifosi d’annata e i bambini della scuola calcio. Ed è proprio da qui, dal lungo blackout dei settori giovanili che parte la sua analisi. « Dobbiamo riflettere – osserva – su un dato allarmante: nelle squadre Primavera della nostra serie A due giocatori su tre sono stranieri. Gli italiani non superano il 34 per cento ed è una è percentuale destinata ad aumentare in proiezione».
Una deriva inarrestabile, sembra di capire. C’è una soluzione?
Due le possibili risposte: o i nostri ragazzi non sono più competitivi, e allora diventa necessario lavorare alla base in profondità, oppure è semplicemente una questione di soldi, nel senso che investire sugli stranieri costa meno e rende di più. In entrambi i casi la via di uscita è una soltanto: puntare sulla qualità del lavoro di fondo, restituire ai ragazzi la libertà di mettersi in gioco senza comprimerli in schemi restrittivi. Il resto, compresa la componente essenziale di carattere tecnico, arriva da sé. A volte è importante, quando non si rinuncia al piacere del gioco, anche l’aspetto imitativo: se non avessi avuto la possibilità di seguire in allenamento tutte le mosse di Maradona cercando in qualche modo di memorizzarle, forse sarei stato diverso come calciatore.
Può bastare, ampliando il discorso, a spiegare l’esclusione dell’Italia dal Mondiale?
Qui interviene la casualità. Vinci l’Europeo, con pieno merito, e subito dopo esci dal Mondiale: nel calcio ci sono spesso fattori non preventivabili che finiscono per penalizzarti. Va detto però che anche nella fase di qualificazione l’Italia ha avuto dei rallentamenti imprevisti pagando gli errori a carissimo prezzo. Si tratta, adesso, di ripartire proprio da questi errori. Il nostro calcio ha sempre prodotto buoni giocatori, soprattutto in avanti. Oggi dove sono gli attaccanti? Non li vedo giocare titolari neppure nelle nostre squadre di secondo livello. Per rifarmi a un esempio personale, ricordo che nel ’94, quando l’Italia è arrivata seconda nel Mondiale, Sacchi aveva a disposizione una rosa di attacsquadra canti che si chiamavano Baggio, Signori, Casiraghi, Massaro, Baiano, per non parlare del sottoscritto, di Mancini o di Vialli. Una concorrenza spietata che ci costringeva però a dare sempre di più.
Prendiamo il Napoli di oggi, a proposito: sette attaccanti, Osimhen, Kvaratskhelia, Lozano, Raspadori, Simeone, Politano e Zerbin, che però non si pestano i piedi.
Bravo Spalletti a tenerli tutti sulla corda. Il Napoli è una realtà straordinaria, è già motivo di studio anche in Europa. Ho qui davanti il sito della BBC, solitamente parco di elogi, che per il Napoli spende giudizi entusiastici. Ricevo anch’io dei complimenti e non nascondo che la cosa mi riempie di orgoglio. Conosco ciò che la rappresenta per la città. La chiave di lettura di questo Napoli? La qualità dei singoli ma soprattutto il ritmo: eccezionale!
Se guardiamo all’Europa chi sono, oggi, gli azzurri con una caratura internazionale?
Barella è sicuramente tra questi, mi fa piacere rilevarlo anche perché è sardo come me e gli voglio un sacco di bene. È un centrocampista completo, sa difendere, sa attaccare, sa fare anche il trequartista. Sta facendo passi da gigante ma ha ancora ampi margini di miglioramento, lo dico con cognizione di causa perché Nicolò ha esordito nel Cagliari quando c’ero proprio io in panchina. Lo stesso discorso vale per Tonali, che ha grandi qualità tecniche e comportamentali. Piccolo particolare da memorizzare: sia Barella che Tonali hanno avuto istruttori che hanno saputo farli crescere senza comprimerli.
La Premier ha un livello ben superiore alla nostra serie A persino nei settori giovanili. Anche lì una questione di istruttori?
È una questione di mentalità. Vengono privilegiate la corsa e l’intensità a scapito della tattica. Questo anche a livello giovanile. Ogni popolo ha una propria identità: gli inglesi sono diversi da noi e privilegiano scelte che istintivamente giudicano prioritarie. Anche in allenamento l’input è sempre lo stesso: si gioca a tutto campo e a tutta velocità. Il resto, le sedute in palestra o la parte didattica, ha meno importanza.
Di certo si preferisce sempre rischiare, anche a costo di scoprirsi.
Se però a questa situazione di partenza aggiungiamo budget superiori a qualsiasi altro campionato e la presenza nel tempo di allenatori stranieri che hanno alzato anche il livello di conoscenza tattica, ecco spiegato perché la Premier continua a essere al top. Lo è, tuttavia, grazie anche al contributo, nel tempo, degli allenatori italiani. In Premier hanno vinto Ancelotti, Conte e Ranieri, per non parlare dei successi europei di Vialli, Di Matteo e Sarri. Mi auguro che la tradizione continui.

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