mercoledì 20 giugno 2012
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«Ogni giorno faccio i conti con il tempo che passa, me lo impongono anche gli acciacchi che inevitabilmente alla mia età arrivano. Ma il vero nodo è chiedermi se ho fatto al meglio il mio dovere, quello di diffondere, attraverso l’arte, l’amore per la bellezza e la verità». Ha 89 anni Franco Zeffirelli. Riflette e confessa che «bilanci della mia vita mi capita, eccome, di farne». In questo periodo il compito è agevolato dalla partitura che ha tra le mani, il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart che venerdì apre la stagione dell’Arena di Verona. «Un’opera che ogni volta che la riprendo in mano – racconta il regista fiorentino – non smette di farmi paura perché come nessun altra ha la capacità di gettarti nel dubbio di fronte alla morte, ma anche di infonderti speranza nelle forze celesti che aiutano a superare le nostre miserie umane. Questa volta, poi, mettere in scena Don Giovanni sull’immenso palcoscenico dell’Arena è una sfida che non mi fa dormire».A 89 anni e con centinaia di spettacoli al suo attivo, maestro Zeffirelli, ha ancora l’ansia da debutto?La paura è di non essere all’altezza di un tale capolavoro. Don Giovanni è il padre di tutti i melodrammi, una partitura che portò una rivoluzione nel mondo della musica. L’ho messo in scena nei teatri di tutto il mondo: è l’opera che mi ha insegnato di più, mi ha insegnato che portandolo in scena meno si fa e più viene bene. Una via che ho seguito sino a quando mi sono trovato a confrontarmi con il palcoscenico veronese. E questa volta ho seguito la strada opposta con uno spettacolo sfarzoso, pieno di particolari e dettagli per aiutare il pubblico non abituato all’opera – e l’Arena per molti è il primo incontro con l’opera – a seguire il racconto e ad avvicinarsi a un mondo, quello della grande musica del passato, che abbiamo il compito di tramandare intatto alle giovani generazioni.Tradizione rispettata anche nel finale con Don Giovanni che sprofonda all’inferno?Quello in cui finirà il protagonista è un inferno costruito dall’uomo: non saranno le fiamme a inghiottire Don Giovanni, ma le tombe del cimitero di Vienna che ho riprodotto con le sue statue che trasmettono un’assoluta e spaventosa solitudine: è questo il vero inferno per l’uomo, la solitudine e l’assenza di Dio.Don Giovanni, come dice il sottotitolo, è "il dissoluto punito": oggi colpa e pena sembrano parole che la nostra società mette al bando.Non c’è più distinzione tra bene e male, non ci sono più remore di fronte a nulla: la parola d’ordine è divertimento. Certo anche Don Giovanni la pensa così, le sue avventure sono piacevoli da raccontare anche se propongono un monito: «Attento a quello che fai». Quello che manca oggi: una riflessione sulle nostre azioni, un timore di qualcosa che sta sopra di noi.Quarant’anni fa girava «Fratello sole, sorella luna», trentacinque «Gesù di Nazareth», pellicole dove ha raccontato il sacro. Oggi avrebbe lo stesso spazio?L’idea del sacro è fraintesa perché entra nella vita solo come una medicina per lenire i dolori, quasi un elisir magico. Io ho voluto invece raccontarlo come un aspetto che fa parte del quotidiano, qualcosa che interroga e scuote e che deve aiutarci a scoprire le ragioni per cui Dio ci ha fatto e per cui ci ha dato talenti da far fruttare.Il Papa a Milano per l’Incontro mondiale delle famiglie ha raccontato come vede il Paradiso: lei come se lo immagina?Non penso che sarà un luogo dove la storia si ripeterà, ma immagino possa essere un luogo dei ricordi dove la nostra vita sarà compiuta dall’incontro con Dio. Su questa terra mi sono sforzato di aiutare i miei contemporanei a camminare sulle strade dell’essere, spesso abbandonate per altre più comode. Porto con me un bagaglio di buone azioni e un’anima che ha fatto di tutto per essere degna del suo creatore.Dopo questo «Don Giovanni» quali altre sfide?Non ho più sogni. Il cinema a 89 anni non mi tenta più, anche perché per farlo bene occorrono energie immense altrimenti il rischio è di proporre al pubblico biascicamenti senza senso. Vorrei dedicare le mie ultime energie alla creazione di una compagnia di giovani che possano perseguire l’amore per l’arte e per il bello. Molti mi chiedono come ho fatto a fare tutto quello che ho fatto. Una ricetta non c’è, sicuramente occorre darsi basi solide, poggiarsi su un’etica e su una spiritualità che possano orientare le nostre azioni.
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