giovedì 7 novembre 2019
Nei commenti sui social il nuovo aeroporto di Pechino di Zaha Hadid è paragonato a una nuova cattedrale: che cosa rivela sul rapporto tra architettura contemporanea e sacro?
L'aeroporto di Daxing, progettato da Zaha Hadid Architects (WikiCommons)

L'aeroporto di Daxing, progettato da Zaha Hadid Architects (WikiCommons)

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Ho trattato più volte questioni inerenti la mia personale idea di chiesa, di luogo del sacro in generale. Le tematiche sono molteplici e una graduatoria è molto difficile da stabilire. Eppure vi sono alcuni aspetti essenziali che dividono i modi di pensare l’edificio sacro, e riguardano una coscienza estetica complessiva. Mi sono sempre appassionato all’altro. Inteso, oltre che come persona, come alternativa, percorso differente che porta in luoghi differenti dalle strade di una percezione consolidata, comune a se stessa, di maniera, accademica o semplicemente abitudinaria. La fotografia quando è nata ha detto che la pittura era altro, il design dice che l’indagine poetica è altro, la didascalia dice che il significato è altro.

Recentemente è stato inaugurato il sorprendente aeroporto di Pechino Daxing dello studio Zaha Hadid Architects, il secondo della Cina ma sicuramente il primo in termini di innovazione e visionarietà. Molte sono le realizzazioni dell’architettura contemporanea che generano stupore e che spingono costantemente avanti i paletti di una innovazione senza fine. Quella che nasce spesso da modellazioni parametriche divenute un po’ il marchio di fabbrica del pensiero di Zaha Hadid ne rappresenta un intero filone ancora lungi dall’esaurimento, anche se denota una stanchezza dovuta a una certa ripetitività dei moduli.

Sulla pagina Facebook del sito web specializzato Architizer.com viene riportata una immagine di grande effetto di un angolo dell’aeroporto. Una ascensione organica verticale i cui materiali, la cui stessa composizione riporta a una idea forte, anche se consueta, di assoluto, di spirituale, di rarefatto e imponente. Alla base una seduta curvilinea con luci che nella collocazione può ricordare un presbiterio laico o qualcosa di simile. Tutto molto d’impatto. Nella massa di commenti, più o meno irrilevanti secondo gli standard da social network, uno non poteva non riscuotere la mia attenzione. Recita più o meno: “It's the new cathedral!” (è la nuova cattedrale).

Associazione assolutamente comprensibile e condivisibile: ma non per una proficua riflessione, ad esempio, sulla sacralità nella quotidianità, quanto per una presa di coscienza della complessa banalità con cui le nostre associazioni percettive lavorano. Associazioni nutrite da un fine perseguito con ostinazione, ovvero quello di scimmiottare l’architettura civile per il contesto del sacro.

Il luogo sacro è altro per definizione, altro in continuità se si vuole, ma indiscutibilmente e definitivamente altro. Tutta la ricerca, che non vedo attuata quasi mai, che riguarda la funzione della bussola d’ingresso come passaggio da una realtà a un’altra è basata su un paradigma senza cui perde di senso. Entrando in un luogo sacro si dovrebbe essere in un luogo altro, inserito nel tessuto urbano e quotidiano ma differente. Si attraversa un diaframma, si vive una trasfigurazione della realtà che non è rivolgimento, ma – con licenza teologica e poetica – “transustanziazione”. Invece succede che per avere la percezione di una cattedrale la gente deve andare in aeroporto. E in questo aeroporto cinese ancora di più.

Evidentemente qualcosa non torna. Fra i tanti, il problema fondamentale della sacralità contemporanea è che a forza di andare alla rincorsa di una legittimazione da parte della società del convenuto accettabile, le realizzazioni del sacro sono diventate la serie B degli aeroporti, degli auditorium, delle stazioni di metropolitana.

Si spacca in quattro il capello per far sì che una chiesa di nuova costruzione sia riconoscibile dall’esterno, ma i parametri che sono accolti spesso sono proprio quelli che la rendono indistinguibile, una storia senza una sua storia, senza una sua estetica raffinata e autonoma, senza una sua identità. Intendo certamente una identità contemporanea ma anche una identità che permetta di non confondere la torre di un hangar per un campanile o una splendida hall di una aeroporto per una cattedrale.

Il percorso è sicuramente tutto da rifare, anche se credo ci siano dei semi qua e là. Certo è che il contenuto comunicativo non verbale di ciò che si realizza rischia di essere il segno di una assenza di coraggio e ispirazione nel profumare di un profumo diverso, nuovo, magari pungente, certamente vivo, realtà che invece si omologano sempre più ai deodoranti sintetici di cui i costruttori impregnano le auto che escono di fabbrica per dare il senso di “nuovo”. Nuovo e finto.

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