venerdì 21 luglio 2023
L’artista franco-cinese porta a Palazzo Strozzi un compendio di oltre venticinque anni di lavoro, con tele imponenti e vigorose che esplorano la relazione tra immagine e realtà
Yan Pei-Ming, “Pape Innocent X bleu”, 2022 (particolare)

Yan Pei-Ming, “Pape Innocent X bleu”, 2022 (particolare) - Firenze, Palazzo Strozzi

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Insieme agli oltre trenta dipinti, tutti di monumentali dimensioni, gran parte dei quali di recente realizzazione, c’è anche un carrello su cui l’artista ha stratificato dal 1996 i residui di vernice delle opere. Si tratta di un compendio di oltre venticinque anni del suo lavoro, un ritratto tridimensionale che rappresenta anche in modo concreto, strato dopo strato, il tempo che passa. È collocato nella sala che apre il percorso espositivo accanto al trittico Nom d’un chien! Un jour parfait (2012) costituito da immagini dell’artista ripreso frontalmente a figura intera in pose che evocano la crocifissione. Attorno a questi due lavori, che rappresentano per un verso la storia e la memoria e dall’altro la riflessione su se stessi (« Il ritratto è come uno specchio, riflette chi siamo, cosa siamo»), ruota gran parte dell’immaginario creativo di Yan Pei-Ming. L’artista franco-cinese (è nato nel 1960 a Shanghai, dal 1980 risiede a Digione) è presente con le sue opere in questi giorni a Firenze, a Palazzo Strozzi, con la mostra “Pittore di storie” (fino al 3 settembre; catalogo Marsilio) curata da Arturo Galansino.

Storie che, attraverso la potenzialità di pennellate vigorose e ampie («la pittura non è una carezza»), stese direttamente senza disegni preparatori, uniscono passato e presente esplorando la relazione tra immagine e realtà in un cortocircuito tra vita privata e vita collettiva, simboli e icone della cultura e della politica, nonché della storia dell’arte. È una commistione spesso allusiva e misteriosa, come in Les Funérailles de Monna Lisa, una delle composizioni più famose dell’artista, dove la riproduzione in grande scala del più celebre ritratto del mondo viene inserita in un ampio paesaggio e affiancata al ritratto del padre del pittore e a un autoritratto, entrambi sul letto di morte.

Definitosi “pittore d’assalto”, Yan Pei-Ming attacca le tele con grande energia in una sorta di corpo a corpo con la materia pittorica che quasi sempre, per aumentare la forza espressiva dell’opera, non va oltre l’utilizzo di due colori: nera e bianca, rossa e bianca, blu e bianca, bianca e grigia. L’imponenza dei dipinti offre l’impressione di poter “entrare” al loro interno, così come la distanza ravvicinata dell’osservatore disgrega le immagini rendendole quasi astratte, pure macchie di colore che si intrecciano e si sovrappongono acquistando nitidezza solo da lontano, come a voler sottolineare che gli avvenimenti necessitano di un distacco temporale per essere compresi e analizzati. Quel distacco che è alla base della rappresentazione di alcuni drammatici momenti della storia italiana dell’ultimo secolo nella trilogia dedicata alle immagini di Benito Mussolini e di Claretta Petacci appesi a testa in giù a Milano a Piazzale Loreto; il corpo riverso di Pier Paolo Pasolini all’idroscalo di Ostia e quello di Aldo Moro nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata a Roma in Via Caetani.

Fondamentale, poi, è la serie, ancora non completata, dei Game of Power, ritratti del potere che, tra cronaca e fascinazione, comprende immagini di leader politici, sovrani, dittatori, capi religiosi che la mostra documenta con opere dedicate alle figure di Mao, soggetto imprescindibile nella produzione dell’artista, di Putin e di Zelensky. L’interesse per la rappresentazione del potere sfocia anche nella citazione della pittura del passato, come testimoniano in mostra le riletture dell’Innocenzo X di Velázquez o del Marat assassiné di David.

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