martedì 15 maggio 2018
Il regista tedesco, fuori gara: «Il mio Pope Francis è un faccia a faccia con il mondo intero»
Il regista Wim Wenders con il Papa durante le riprese del suo film

Il regista Wim Wenders con il Papa durante le riprese del suo film

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«In un’epoca di profonda sfiducia nei confronti dei politici e delle persone al potere che non possono più rappresentare quello che rappresentano, quando le bugie, la corruzione e le notizie false sono all’ordine del giorno, il film mostra un uomo umile e coraggioso, che mette in pratica ciò che predica, conquistando così la fiducia delle persone in tutto il mondo, di tutti i background religiosi, culturali e sociali. Ecco perché penso che questo non sia solo un film per i cattolici o i cristiani, ma per l’umanità intera».

Così Wim Wenders spiega il senso di Pope Francis - A Man of His Word (Papa Francesco - Un uomo di parola), presentato ieri fuori concorso a Cannes: non un documentario biografico su Papa Francesco, ma un viaggio insieme al Pontefice, guidato dalle sue idee, le sue parole, il suo messaggio su temi cruciali per l’umanità come la povertà, il lavoro, la dignità, la sofferenza, la guerra, le migrazioni, il bisogno di una nuova fratellanza, la necessità di proteggere e rispettare la Madre Terra.

«Ho ideato il film sia dal punto di vista visivo che narrativo – ci ha raccontato il regista tedesco, che non compare sullo schermo ma si limita a narrare fuori campo – nella speranza di coinvolgere il pubblico in una sorta di faccia a faccia con il Papa, stabilendo un dialogo tra lui e il mondo. Quel mondo che Francesco attraversa per dialogare con potenti leader, ma soprattutto con la gente comune, contadini e lavoratori, rifugiati, bambini e anziani, detenuti e persone che vivono nelle baraccopoli. Credo che il mio cinema possa avere degli elementi in comune con le parole del Papa, parole che sento molto vicine al mio cuore, che dicono cose semplici ma al tempo stesso profonde, capaci di toccare l’anima delle persone».

Come quando ammonisce: «Siamo tutti figli di Abramo, e quindi fratelli, che ci piaccia o no», sottolineando quanto sia fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità affrontare le difficoltà tutti insieme, come una vera famiglia. «Mi ha confessato che oggi la cosa più difficile per lui quando si trova in mezzo a migliaia di persone – rivela Wenders – è quella di non vedere i loro volti, ma solo un mare di telefoni cellulari».

E poi: «Sono stato chiamato a realizzare questo film da monsignor Dario Edoardo Viganò (assessore, già prefetto, della Segreteria vaticana per la comunicazione, ndr) che ha pensato fossi la persona adatta per questo compito di così grande responsabilità. Con il mio cinema ho sempre tentato di trasmettere ciò che amo e che mi tocca da vicino. Quando scrivevo di cinema mi sono occupato solo dei film che mi piacevano. Non sono una mente critica, ma una mente che ama».

Il Vaticano ha garantito a Wenders carta bianca e l’accesso privilegiato agli archivi che offrono immagini inedite, alle quali si aggiungono immagini di finzione che ricostruiscono la vita di San Francesco d’Assisi. «Abbiamo avuto quattro lunghi incontri/intervista con Papa Francesco, in quattro pomeriggi nel corso di due anni. Ne abbiamo realizzati tre nelle stanze vaticane e uno in un giardino, sempre all’interno delle mura. Abbiamo girato con diverse macchine da presa, la principale equipaggiata con uno strumento chiamato “interrotron” che ha permesso a Papa Francesco di vedermi su uno schermo e guardarmi mentre parlavamo, ma allo stesso tempo di guardare dritto nell’obiettivo e quindi negli occhi di tutti coloro che vedranno il film. È stato uno dei momenti più emozionanti e importanti della mia vita. La prima volta che ho incontrato il Pontefice ero molto nervoso, ma appena l’ho visto entrare nella stanza ho percepito disponibilità, gentilezza e una presenza fortissima. È arrivato da solo e ha stretto la mano a tutti dissipando ogni timore».

«Ho cominciato ad amare Bergoglio – continua Wenders – dieci secondi prima di vederlo, quando ho sentito che si sarebbe chiamato Francesco. Sono una persona molto spirituale, anche se mi spaventa la rigidità delle istituzioni e ho preso quest’uomo venuto dalla fine del mondo, umile e coraggioso, molto seriamente perché nel XXI secolo ci costringe a riflettere su tutto quello che finora abbiamo dato per scontato, predicando l’eguaglianza e la giustizia sociale, ricordandoci che la famiglia si costruisce col tempo speso insieme e che si può vivere con molto meno».

Prodotto da Wenders e David Rosier con Samanta Gandolfi Branca, Alessandro Lo Monaco e Andrea Gambetta, il film, che verrà distribuito nelle sale italiane in autunno da Universal, è una collaborazione speciale tra la Focus Features, il Centro televisivo aticano, la Célestes Images, la Solares Fondazione delle Arti Parma e la Solares Suisse Foundation, la Neue Road Movies in Germania, la Decia Films in Francia e la PTS Art’s Factory in Italia.

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