sabato 14 maggio 2016
​Secondo la mistica, il Padre che si svela a Figlio e Spirito è figura della misericordia. Una riflessione del cardinale di Milano.
Scola: la Misericordia secondo la Trinità di von Speyr
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In «Dio ha bisogno degli uomini. Preti per il terzo millennio» (Rizzoli, pp. 230, euro 13), il cardinale Angelo Scola (nella foto) raccoglie una serie di interventi, omelie e discorsi pronunciati in questi anni per i seminaristi e i sacerdoti della diocesi di Milano. In appendice sono trascritti (senza revisione dell’autore) anche gli incontri colloquiali dell’arcivescovo con i giovani delle comunità vocazionali ambrosiane; ne proponiamo in questa pagina uno. Il volume, curato dal rettore del seminario di Venegono Inferiore (Varese) monsignor Michele Di Tolve, viene offerto in occasione del 25° dell’ordinazione episcopale di Scola, avvenuta il 21 settembre 1991 nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.Ho avuto occasione di imparare cosa sia il sacramento della riconciliazione accostando un libro che considero, ancora oggi, uno strumento fondamentale e che consiglio sempre a tutti i sacerdoti. Il libro è La confessione di Adrienne von Speyr. Adrienne von Speyr fu una mistica svizzera, convertitasi dopo aver incontrato Hans Urs von Balthasar, con il quale diede vita a una comunità speciale di triplice consacrazione: per le donne, per gli uomini e anche per i sacerdoti che, pur restando incardinati nella loro diocesi, vivono un’esperienza di questo tipo. Il libro sulla confessione è impressionante per profondità e per attualità, benché sia stato scritto per la prima volta nel 1960. La lettura di questo testo (da non farsi in maniera corsiva dalla prima all’ultima pagina) è un consiglio che vi lascio per il futuro, qualunque sia ciò che Dio vi riserva, perché in esso sono sviluppati tutti gli elementi della confessione e, soprattutto, quello che è impressionante è che il tema del sacramento è preceduto da quello che lei chiama «l’atteggiamento della confessione» e che fa risalire addirittura all’interno della Trinità, per poi spostarlo sul Crocifisso. Adrienne von Speyr dice che Dio, nella Trinità, non può stare davanti a sé se non come Dio: il Padre è Dio, il Figlio è eternamente Dio, lo Spirito è Dio. Lì, allora, si vedrebbe l’atteggiamento di confessione, così come lo si vede nelle braccia allargate del Crocifisso, e che consiste nel mostrarsi così come si è. Questo è il valore della confessione: mostrarsi come si è, perché per poter fare un’esperienza di salvezza, di conversione, di liberazione radicale e di pace bisogna avere il coraggio di mostrarsi come si è. Noi viviamo in un tempo in cui tutti parlano di dialogo, di importanza del dialogo, ma raramente il dialogo giunge fino a questo vertice. Spesse volte il dialogo è un mono-logo, un monologo mascherato, un monologo sotto mentite spoglie; oppure, spesso, il dialogo è da noi usato come uno strumento di conferma di ciò che si pensa di sé e di ciò che si vorrebbe essere. Non come la grande occasione del mostrarsi come si è. Questo atteggiamento di confessione è ciò che manca di più nell’esperienza comune di vita di tutte le nostre comunità. Di qualunque natura: parrocchie, comunità religiose, associazioni, movimenti, gruppi... di tutti! Manca dappertutto. Mi ricordo, al Sinodo sui laici nell’87, un intervento del padre gesuita Georges Chantraine nel quale, davanti a tutti i cardinali e i vescovi del Sinodo, disse di aver sentito tanti ragionamenti e tanti discorsi (lui era uno degli esperti e anch’io lo ero), ma di non aver visto nessun atteggiamento di confessione nel dialogo tra noi, come se uno non avesse avuto il coraggio di stare di fronte al Padre che è nei cieli, di stare di fronte al Crocifisso, mostrandosi per quello che è. Tutti avevano da dire su come bisogna fare A, come bisogna fare B... Era necessario questo, sarebbe stato necessario quello (come avviene spesso nei nostri incontri)... Ma questo atteggiamento mancava. E quindi l’assemblea sinodale, da assemblea ecclesiale, si trasformava in una sorta di riunione come se ne possono fare tante altre, anche nella società civile.  Questo è il primo elemento che intendo sottolineare. Ed è anche la radice della bellezza, perché, come ci insegna san Tommaso, la bellezza è lo splendore della verità. Laddove non c’è verità, non c’è bellezza. C’è artificio, ci può essere qualcosa che colpisce, ci può essere una forma che colpisce o, come in certa pittura contemporanea, un accostamento di colori o un gioco di movimenti, ma bellezza in senso pieno non c’è. Bellezza in senso pieno non c’è nemmeno in certe forme perfette: ci sono dei Raffaello che sono, formalmente parlando, bellissimi, tecnicamente bellissimi, ma non ti dicono niente del dramma dell’uomo, della verità dell’uomo. Mi spiego? Invece ci sono nature morte di Cézanne che sono religiosissime, perché dicono la verità della mela, della pera, della pesca che è lì secondo una genialità attraverso la quale tu vedi che il pittore si è giocato con la realtà e ha cercato di dire cosa la realtà comunicava a lui. La radice della bellezza è la verità. La confessione, allora, da questo punto di vista, è il grande dono dell’amore permanente di Dio. Questa esperienza straordinaria di amore è il culmine della verità che dà pace e dà felicità, perché è la possibilità di mostrarsi senza infingimenti, fino in fondo, come si è. È una domanda di verità di sé, a cui l’uomo anela in ogni istante della sua vita ma che non riesce mai compiutamente a perseguire: ha bisogno dell’iniziativa di amore di un altro, soprattutto di un Altro, con la «A» maiuscola, per aprirsi e per spalancarsi a questa esperienza di verità che dà bellezza, dà bontà, dà gioia, dà pace. Così io sento la bellezza: non la posso dissociare da questa domanda, da questo grido di verità che abbiamo nel cuore, che subito si infrange come un’onda forte contro gli scogli di tutte le nostre resistenze e di tutti i nostri scantonamenti che possono diventare anche menzogna, perché il nostro peccato ci fa paura. Voi avete parlato della difficoltà della confessione. Vi leggo una frase di Adrienne von Speyr per aiutarvi a capire bene la differenza tra il peccato e la confessione. Lei dice a un certo punto: Dio sta davanti a se stesso nell’atteggiamento di Dio, quindi si mostra così come è. Il Padre si svela totalmente al Figlio al punto che si dà tutto al Figlio, gli passa tutta la sostanza divina; il Figlio, nello stesso istante, eternamente gliela rende. È così perfetto lo scambio di amore tra i due che genera lo Spirito che è esso stesso Dio: è lo scambio e il dono tra i due. Quindi, Dio sta davanti a se stesso nell’atteggiamento di Dio, in un atteggiamento di fiducia, di ringraziamento, di donazione e di accettazione, totalmente spalancato. Istituendo a Pasqua, sulla croce, la confessione, il Figlio vorrebbe far comprendere agli uomini, cioè a noi, l’atteggiamento divino (non ho mai trovato nessun teologo che abbia portato la radice della confessione nella cristologia e nella trinitaria), vorrebbe far partecipare ad essi qualche cosa della vita trinitaria. Nella confessione partecipiamo a qualcosa della vita trinitaria (si può dire misericordia, se la si intende, però, in tutta la sua ampiezza: non soltanto come il piegarsi di Dio verso di me, ma come la vita stessa che è in Dio trinitario che viene verso di me).
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