venerdì 13 settembre 2013
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La teologia di Hans Urs von Balthasar si mantiene consapevolmente lontana dalla vanità della speculazione fine a se stessa, «che cerca di rendersi interessante in virtù del favore delle proprie scoperte e che insiste su ciò che è sconosciuto, indimostrabile e vuoto». Una teologia che Balthasar, rifacendosi a Gregorio di Nissa, paragonerà all’avanzare sterile tra le dune del deserto. La fecondità, invece, era per lui intravista nei misteri della fede, garanzia del dono della Verità. Questa non regredisce con l’avanzare del progresso, ma pone sempre maggiori responsabilità al teologo, poiché apre quell’orizzonte universale dove il frammento non può che essere letto nel segno del Tutto. Molti teologi sono concordi nel definire Balthasar prima di tutto un cristiano giovanneo e ignaziano e soprattutto un uomo mariano. Quest’ultima caratteristica appare evidente nel momento in cui ci si pone di fronte alla sua visione della Chiesa, percepita come Sposa e Persona: «In Maria la Chiesa che scaturisce da Cristo trova il suo centro personale». Per il teologo di Basilea, vita, missione e teologia sono essenzialmente unite in un centro, rappresentato dall’impegno, personale e comunitario, nella sequela Christi, che anima la sua opera e il suo ministero sacerdotale. L’incontro decisivo con il carisma di Adrienne von Speyr, quando ormai egli è già un teologo affermato, gli consentirà di meglio configurare contemporaneamente lo spazio della sua missione ecclesiale e lo stile della sua teologia. Lo stile di vita e l’opera Balthasar rivelano l’intuizione fondamentale del bisogno urgente che la Chiesa contemporanea agisca nel mondo come il "sale" e il "lievito" senza dimenticare che la testimonianza deve essere anche lampada sopra il moggio. Solo così la Chiesa potrà essere aiutata a far brillare la Tradizione, uscendo dai bastioni delle tradizioni in cui è tentata di arroccarsi, sottraendosi all’urgenza del dialogo. Un dialogo animato dall’inesausta ricerca della verità, nei confronti della quale egli ammette: «Restano da esplorare campi sterminati». Tanto più che «la verità non è qualcosa che si possa imparare e quindi diffondere una volta per sempre. La verità è la volontà di Dio colta e attuata in ogni momento con amore totale». La riflessione di Balthasar mostra una singolare propensione a cogliere i nodi storico-culturali del suo tempo. Egli è cosciente del fatto che il cristiano «figlio di questo tempo partecipa alla situazione, alla povertà e alla ricchezza dell’epoca e che tuttavia sa trarre dal tesoro della rivelazione divina a lui affidata "il nuovo e l’antico" (Mt 13,52) per interpretare il suo tempo e aiutare se stesso». Per tale motivo, la lettura del presente, priorità della sua riflessione, non è motivata da ragioni estrinseche, ma scaturisce dalla consapevolezza che la Chiesa, e in essa il cristiano, partecipa dall’interno al processo storico complessivo. Il pensiero balthasariano ha segnato la storia dell’evangelizzazione contribuendo a riportare lo sguardo della Chiesa al centro, al Verbum caro e alla sua Ora, dove si dispiega l’amore di Dio per il mondo. Nell’unione dell’amore e secondo la logica dell’incarnazione, la Chiesa svolge la sua azione cercando di "agire scomparendo", perché solo una Chiesa umiliata può facilmente trovare la via «verso gli umiliati e gli offesi: verso coloro che vengono trascurati». La sua missione, come l’azione del cristiano, è pensata dal teologo di Basilea nella linea evangelica "dell’inutilità", che è il segno dell’esistenza terrena di Cristo e dunque «dovrebbe essere anche il segno della Chiesa terrena». Tuttavia Balthasar puntualizza continuamente l’intima natura della Chiesa come emanazione della pienezza di Cristo, in opposizione al pericolo di una conversione al mondo e contro la sensazione, che talvolta il cristiano sperimenta, di essere «un fossile di epoche tramontate». Il suo percorso si snoda in un incessante dialogo con le diverse discipline teologiche e con le problematiche culturali e filosofiche contemporanee. Senza tralasciare una ferma attenzione alla persona umana, alle sue istanze, ai suoi fondamenti, all’identità del cristiano, alla ricerca dell’unione con amore con i cristiani separati, al dialogo con l’antico Israele, con gli uomini delle religioni e con i non credenti. L’urgenza dialogica, traversale a tutta la sua opera, è probabilmente l’aspetto più apprezzato dai teologi di altre confessioni cristiane, ad esempio anglicani e protestanti, che per tale motivo si sono volentieri avvicinati alla sua opera. Il suo pensiero creativo e versatile non ha potuto essere ignorato o emarginato, nel panorama teologico, neanche tra coloro che gli sono stati avversi; e se è vero che talvolta egli ha conosciuto una critica aspra, anche se raramente giustificata, questa non ha fatto altro che rendere più autentica nella sua persona e nella sua opera la dimensione del mistero pasquale. Se dunque dovessimo sintetizzare, in poche parole, il versante più fecondo per la Chiesa contemporanea e per la nuova evangelizzazione della riflessione balthasariana dovremmo identificarlo con l’invito alla Chiesa a ritornare al centro, al Verbum caro factum est: «La rivelazione di Gesù Cristo contiene in sovrabbondanza la verità per ogni tempo, anche per il nostro… Lo Spirito Santo rivela a ogni tempo quell’aspetto della verità divina che gli è riservata, se gli uomini di quel tempo cercano di ottenerla con la preghiera; e la verità non si trova in un qualche angolo isolato, rimasto finora per caso nell’ombra e sul quale cadrebbe oggi finalmente il raggio luminoso dello Spirito; essa si trova sempre al centro, nel cuore ardente, dove si irradia la luce, da dove i cristiani, senza avvedersene, sono scivolati via per comodità, e dove vale la pena di ritornare». Anche oggi solo l’amore kenotico di Gesù, nell’orizzonte dell’amore trinitario che si dona, può illuminare, spiegare e incoraggiare la missione della Chiesa.
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