sabato 18 febbraio 2023
Lo scrittore irlandese ha composto un dittico romanzesco che mostra la genesi degli States dal rapporto brutale coi nativi ai numerosi atti di razzismo, ma anche nelle buone azioni dei singoli
Lo scrittore irlandese Sebastian Barry al Festivaletteratura di Mantova, il 10 settembre 2022

Lo scrittore irlandese Sebastian Barry al Festivaletteratura di Mantova, il 10 settembre 2022 - Giorgio Boato

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La narrativa di Sebastian Barry è apprezzata da molti scrittori e scrittrici, tra cui Kazuo Ishiguro e Ali Smith, che di lui ha detto: « Nessuno spinge alle estreme conseguenze le parole e il cuore, e li tiene insieme», come fa Barry, per esempio, in Giorni senza fine e Mille lune (Einaudi). Barry è una figura di spicco del panorama letterario irlandese, ha dato vita a un avvincente dittico romanzesco sulla genesi degli Stati Uniti d’America e sulla migrazione irlandese del XIX secolo, leggendo l’alba di una nazione attraverso le peripezie di personaggi lontani da lui come immaginario. Il romanzo storico Giorni senza fine (2018) era ambientato nell’America del XIX secolo, all’epoca della grande migrazione dall’Irlanda, delle Guerre indiane e della Guerra di secessione. Mille lune (2022) ne è il seguito ideale: Tennessee, 1870, Winona, un’indiana lakota rimasta orfana e adottata dagli ex soldati dell’Unione Thomas McNulty e John Cole, prova a lasciarsi alle spalle le perdite del passato, almeno finché l’ennesima violenza non la costringe a cercare giustizia. È a partire da questi temi, dalla violenza, dalla brutalità, dal razzismo, ma anche dalla tenerezza e dalla speranza, che abbiamo intervistato Barry, poeta prima ancora che narratore.

Nei suoi libri scrive di immigrazione: cosa pensa di quella contemporanea?

È una domanda complicata da porre a un irlandese. Nel XIX secolo abbiamo vissuto la necessità di lasciare l’Irlanda in tutte le sue forme, per le persecuzioni, il costo della vita, la carestia. Ma cosa si faceva altrove? Si contribuiva ad alimentare il razzismo. Ci sono quindi alcune contraddizioni e mi piacerebbe dire che non abbiamo una storia di razzismo o non abbiamo razzismo, ma non è così. Sono cose a cui pensare quando si pensa all’immigrazione.

Nei suoi libri c’è il tema della violenza, ma spesso coesiste con la tenerezza.

Credo che coesistano e se non lo fanno, allora tutto ciò che si ha è una forma di malvagità umana. Che purtroppo siamo molto bravi a perpetrare. Ma ciò che mi interessa delle persone che si trovano completamente dalla parte sbagliata della storia, è che forse nei loro momenti privati, nei loro amori privati, nelle loro vite segrete, hanno mostrato una grande bontà e una grande tenerezza, e queste cose coesistono nello stesso momento. Per me è una faccenda molto interessante. Voglio dire, penso che sia ciò che ci definisce come esseri umani.

Che cos’hanno in comune Giorni senza fine e Mille lune?

In tanti dicono che Mille lune è un sequel, ma in realtà per me non lo è del tutto. Sono legati l’uno all’altro e forse nel regno della finzione c’è qualche legame tra i personaggi. Quando un libro ha bisogno di un altro libro, ne vuole un altro, ne chiede un altro ancora, ma non scrivo pensando a questo e Mille lune si può leggere come un libro a sé stante, così come Giorni senza fine.

Come sta la letteratura irlandese?

Negli ultimi tre anni ho letto molta narrativa irlandese e posso dire che in Irlanda c’è una rinascita sorprendente della narrativa e della non-fiction. Si tratta di scrittori meravigliosi e tutti molto diversi l’uno dall’altro. Un fatto insolito fino a qualche tempo fa. Però non so quale sia la ragione.

Lei ha iniziato come poeta, giusto?

In realtà ho iniziato scrivendo canzoni. Volevo essere Bob Dylan. Poi ho iniziato a scrivere poesie quando ero molto giovane, al college, e penso ancora che sia la forma più alta che si possa raggiungere in scrittura.

Che rapporto c’è tra quello che lei racconta nel libro e il nostro tempo?

Penso che molti Paesi non conoscano davvero la loro storia né quella altrui. Spesso abbiamo un’idea della storia a partire dai film. Quando ero bambino andavano ogni sabato con mio nonno al cinema a vedere i film sui cowboy e pensavamo che fosse quella la storia. Pensavamo che quella fosse l’America. Quindi, in un modo curioso, quella era l’America perché l’immaginazione aveva creato tutto questo, ma naturalmente non lo era. Da irlandese ho cercato di guardare alla storia americana dal punto vista dei nativi americani. È una storia feroce. Oggi il mio grido per l’America non sarebbe il “Make America Great Again” di Trump, ma “Make America Human Again”. Il modo in cui si inizia a essere umani credo sia riconoscendo la propria storia, anche se si tratta di una storia a volte difficile. Se si inizia a riconoscerlo nelle scuole, per esempio, allora si potrà essere popoli migliori. Ma se non si riconosce e non si conosce, non si potrà. Le generazioni che vengono dopo fatti gravi a volte provano vergogna. È sicuramente capitato in Irlanda dopo la Guerra civile. Il problema è che quando si arriva alla generazione ancora dopo, ci si trova con una enorme area sconosciuta della propria storia, e inizia a essere anche un’enorme area sconosciuta di sé stessi. Si inizia così ad avere un senso di cittadinanza frammentato. Quindi, in un certo senso, il romanzo, la scrittura, sono una prova del tempo, ci si immerge in un’epoca e si guardano i problemi più da vicino, si riabilitano immaginari.

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