sabato 18 gennaio 2014
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Il calcio, se vuole, può mettere in fuorigioco i tifosi violenti. Il messaggio arriva dalla Spagna e porta la firma di Joan Laporta, ex presidente del Barcellona. Quando si insediò, nel 2003, adottò immediatamente la linea dura contro i “Boixos Nois” (che tradotto suona all’incirca come “Ragazzi pazzi”), storico gruppo di curvaioli fascistoidi che negli anni si era macchiato di una lunga striscia di tafferugli, prepotenze e altri episodi assortiti di violenza. Laporta tagliò in modo netto i rapporti con i tifosi turbolenti, decretando la loro messa al bando dal Camp Nou. Un gesto forte per il mondo del calcio, che raramente ha provato a recidere i suoi legami ambigui con le frange estreme del tifo. Ne sappiamo qualcosa in Italia, dove i club sono abituati ad accettare supinamente tutte le sbandate delle curve. Anche nel resto d’Europa sono pochi quelli che dicono basta, però gli esempi sono illustri. In Francia ci ha provato il Paris Saint Germain. Dopo una faida nella tifoseria che portò all’assassinio di un capo ultrà nel 2010, l’ex presidente Leproux impedì l’ingresso a 13 mila «soggetti non graditi», sciolse i club organizzati e iniziò ad assegnare i posti in modo casuale.Anche il Real Madrid, lo scorso dicembre, ha deciso di usare il pugno duro. Dopo le ennesime intemperanze, Florentino Perez ha di fatto estromesso gli “Ultras Sur” dal Santiago Bernabeu, riorganizzando il settore che occupavano di solito: al posto dei violenti d’ora in poi ci saranno i giovani tifosi.Anche Laporta a Barcellona, all’epoca, non volle sentir ragioni. Mantenne la sua fermezza nonostante una reazione durissima, che culminò in gravi minacce di morte a lui e ai suoi cari. Tra i “Boixos” c’erano alcuni elementi molto pericolosi: successive operazioni di polizia dimostrarono le loro responsabilità addirittura in omicidi, traffico di droga e armi. Laporta però non si spaventò e tirò dritto per la sua strada. Il Barcellona continuò a vincere anche senza i “Ragazzi pazzi”. Undici anni dopo l’ex presidente, che ora guida il partito Democrazia Catalana e siede nel consiglio comunale di Barcellona, racconta ad Avvenire come e perché cacciò i violenti dallo stadio. Ancora oggi sostiene la «tolleranza zero» contro i teppisti della domenica. Perché arrivò alla decisione di proibire ai Boixos Nois l’ingresso al Camp Nou?«La nostra gestione poggiava sul consenso di una maggioranza di soci che ci avevano dato democraticamente la loro fiducia nelle elezioni del 2003. Perché avremmo dovuto cercare l’appoggio di un’assoluta minoranza? Per il fatto che godevano di più privilegi di qualsiasi altra persona che fa parte del popolo barcellonista? Pretendevano un trattamento di favore nello stadio, negli spostamenti, volevano essere sovvenzionati dalla società. Ma noi non accettammo alcun patto. Siamo sostenitori della cultura del dialogo, ma non di quella dell’imposizione e men che mai del ricatto. E quindi hanno iniziato la guerra contro di noi, contro di me in particolare. Durante la partita del trofeo Gamper lanciarono dei bengala sul prato. Certo, la multa del club l’hanno poi dovuta pagare tutti i soci, più di novemila euro per bengala».È vero che subì minacce dopo quella decisione?«Non è stato per nulla piacevole ricevere minacce di morte, e ancor meno quando le hanno ricevute le persone che più amo, la mia famiglia, i miei figli. Ancor oggi ringrazio per gli attestati di solidarietà a sostegno della lotta contro i violenti, ma, sinceramente, mi sarebbe piaciuto, per il bene di tutti, che altre società calcistiche, altri dirigenti, altri responsabili della vita sociale e politica, avessero mantenuto la stessa fermezza che abbiamo mostrato noi. Non è, il mio, un rimprovero aspro, perché sono cosciente - e l’ho vissuto in prima persona - del prezzo che ciò comporta. Non è facile sentirsi solo. Quando ti minacciano, per quanto tu abbia molti amici e colleghi che ti appoggiano, ti senti assolutamente solo. Gli arresti di certi individui avvenuti negli ultimi tempi, alcuni dei quali paiono essere i presunti autori delle minacce alla mia vita e alla mia famiglia, hanno reso chiaro di che tipo di personaggi si tratta». Com’è la situazione degli ultras adesso al Barcellona? «Non sono più all’interno del club e quindi non posso dare giudizi sull’attuale situazione, ma insisto sul fatto che la lotta contro i violenti non è questione legata a un certo presidente o una certa giunta direttiva. Al contrario, è frutto di un lavoro costante di tutte le persone che hanno responsabilità di governo nel Barça. Mi ha rattristato profondamente quando l’attuale presidente ha riconosciuto d’aver avuto contatti con alcuni gruppi di cui fanno parte persone violente, durante la campagna elettorale per la presidenza del Barcellona nel 2010. Non tutto è giustificabile. La sicurezza dei soci e dei tifosi, e in generale, la responsabilità sociale è assolutamente al di sopra dei vantaggi elettorali».<+NEROAGORA>I “Boixos” sono ancora fuori dallo stadio?<+TONDOAGORA>«Questa domanda in realtà dovrebbe essere rivolta all’attuale giunta direttiva e alla polizia, i Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, che sin dal primo giorno hanno gestito la situazione in modo professionale ed eccellente per evitare che i gruppi violenti rientrassero nello stadio».Secondo lei è giusto dialogare con i tifosi violenti o può essere interpretato come segno di debolezza?«Sono sostenitore della “tolleranza zero” con i violenti. La polizia ci disse che se avessimo collaborato seguendo ciò che ci suggerivano i professionisti della sicurezza pubblica, sarebbe stato possibile farla finita con la piaga dei violenti. Certo, bisognava essere fermi e non cedere in nessun momento. È questo ciò che chiamiamo tolleranza zero. Ed è ciò che abbiamo fatto, almeno sino a quando io sono stato presidente».
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