venerdì 18 agosto 2023
Padre della sociologia e grande economista, nei suoi testi si trovano analisi e strumenti la cui validità non solo è intatta ma è di una attualità sconcertante
Vilfredo Pareto

Vilfredo Pareto - WikiCommons. Elaborazione grafica di Massimo Dezzani

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«Chi sa, fra un secolo, se qualche esemplare della sociologia sfugge al rodere dei topi, un qualche ricercatore troverà che al principio del secolo XX ci fu un autore che volle introdurre il principio di relatività nelle scienze sociali; e dirà: “Come mai ciò non fu inteso, mentre tanto facilmente quel principio invadeva le scienze fisiche?”. Credo che risponderà “Perché allora, come sempre, le scienze sociali erano enormemente arretrate, in paragone alle scienze fisiche”». Così scriveva nel maggio del 1921 Vilfredo Pareto all’amico Maffeo Pantaleoni. Oggi, alla vigilia del 19 agosto, si può liberamente sostenere che a cento anni esatti dalla morte del grande sociologo ed economista, nato a Parigi nel 1848, dove il padre si era rifugiato da esule, i roditori hanno risparmiato il suo lavoro di ricerca. Non solo perché di Pareto se ne parla ancora, ma anche perché i suoi studi non sono affatto da accantonare coperti di polvere.

Indiscusso è il suo apporto alla teoria economica con l’equilibrio paretiano, la distribuzione paretiana e l’ottimo di Pareto, che corrisponde a una situazione in cui non si può migliorare il benessere di un individuo senza deteriorare quello di un altro. Eppure è la componente sociologica a offrire ancor oggi i maggiori spunti di riflessione sugli avvenimenti di questo primo scorcio del XXI secolo, aiutando a smascherarne le finzioni, a individuarne tendenze sociali e a mettere in guardia sulle dinamiche di potere. E questo malgrado le sue opere principali, Corso di economia politica, I sistemi socialisti, Trattato di sociologia generale siano fuori commercio e di difficile reperibilità.

Tra qualche giorno sarà invece nuovamente disponibile per Castelvecchi (pagine 124, euro 16,00) Trasformazioni della democrazia, il cui proposito essenziale è denunciare le relazioni di potere che si danno in un sistema sociale e politico, e comprendere come esse solo apparentemente mutino cogliendo lo scarto tra le proiezioni ideali e la realtà storico-effettuale. Da qui la denuncia della “plutocrazia demagogica”, che oggi esprime le ambizioni politiche di tycoon e ricchi outsider provenienti dal mondo industriale. Fenomeni che sono espressione di disgregazione sociale ed erosione della sovranità politica, che adombrano il rischio di forme di potere cesaristiche e monocratiche.

Economista tra i maggiori, al quale si deve l’introduzione nella disciplina della matematica applicata per soppesarne le conclusioni, e, insieme a Max Weber e Émile Durkheim, uno dei padri della sociologia, Pareto è stato animato nel suo studio dal rifiuto di ogni interpretazione riduzionista dei fatti sociali. La stessa sociologia, non a caso, ambisce a esplorare gli aspetti della realtà inspiegabili dall’economia. Lo riconosce lui stesso quando ammette che «la disuguaglianza della ripartizione dei redditi sembra dipenda molto più dalla natura stessa degli uomini che dall’organizzazione economica della società», spingendolo ad affrontare un nuovo campo di indagine.

Dopo gli studi di ingegneria e il ruolo di dirigente in aziende pubbliche e private, Pareto, dal 1889, decide di dedicarsi completamente alla carriera intellettuale, succedendo nel 1893 a Losanna a Léon Walras nella cattedra di economia politica. Un cammino di pensiero, il suo, non certo lineare ma in cui vita attiva e vita teorica si intrecciano e fecondano inestricabilmente, come illustra il meticoloso lavoro di Fiorenzo Mornati, Una biografia intellettuale di Vilfredo Pareto (Edizioni di Storia e Letteratura, tre volumi, pagine 192-256-166, euro 28-38-25). Il contributo di Pareto alla sociologia riguarda in gran parte la teoria dell’azione, per studiare cosa muova gli uomini ad agire. Nel poderoso Trattato di sociologia generale riconosce come le azioni logiche siano solo una parte, e non certo la preponderante, dell’agire umano. In esso giocano un ruolo “residui” e “derivazioni”. I primi corrispondono alla manifestazione di sentimenti e istinti che spingono l’uomo all’azione, le seconde rappresentano il tentativo di rielaborarli fornendogli una giustificazione logica. Tra esse rientrano le varie ideologie, che la sociologia si assume il compito di smascherare per metterne in luce la dimensione illogica ma non per questo da scartare.

Attraverso il filtro di residui e derivazioni lo studioso di Céligny fustiga ogni infatuazione umanitaria, progressista, nazionalista, socialista, con lo scopo di dimostrare da una parte la stoltezza delle illusioni sulla natura umana e dall’altra la natura immodificabile degli istinti. Uno sforzo immenso, che fa aggio sulla tradizione che da Machiavelli giunge a Gaetano Mosca, per dare una base oggettiva alle sue argomentazioni, sollevarle dalla sfera delle convinzioni e dell’esperienza personale per collocarle nell’ambito della scienza.

Nella classificazione dei residui Pareto ne individua in particolare due, e opposti tra loro: l’istinto delle combinazioni, all’origine dell’innovazione e del dinamismo, e la persistenza degli aggregati (come famiglia, vincoli di comune discendenza o religione) che induce alla conservazione. Ambedue le spinte sono necessarie in ogni società per garantire l’equilibrio tra continuità e novità, che per definizione è precario. Non a caso per Pareto storia e società sono mosse dal conflitto incessante tra élite che detengono il potere ed élite che aspirano a subentrarvi. «Le aristocrazie - ammonisce - non durano; qualunque ne siano le cagioni, è incontestabile che dopo un certo tempo spariscono. La Storia è un cimitero di aristocrazie», ma non giunge mai a un capolinea perché si caratterizza dalla incessante circolazione tra élite decadenti e élite nascenti che ne impediscono la “cristallizzazione” in dinamiche consunte foriere di corruzione e decadenza.

Quanto l’opera di Pareto rimanga ancora un forziere di spunti lo testimonia il dossier dedicato al sociologo di inizio Novecento per il centenario della morte, curato da Giovanni Barbieri, intitolato significativamente L’attualità di un guastafeste pubblicato nell’ultimo numero della Rivista di Politica (Rubbettino, pagine 160, euro 15). Da quello scrigno labirintico che è il Trattato di sociologia generale fuoriescono arnesi ermeneutici che contribuiscono a lumeggiare alcuni tratti dei tempi presenti come l’emergere, mutatis mutandis, di populismi e sovranismi. Al suo contributo si deve anche la capacità di mostrare come l’aspirazione alla giustizia non sia solo un’ideologia, ma espressione di “residui” profondi e inestirpabili di ricerca di sicurezza fisica e benessere psicologico, e questo in anticipo su John Rawls.

Similmente, ben prima di Martha Nussbaum, Pareto mette in luce come le emozioni, che preferisce chiamare sentimenti, guidino e condizionino l’agire umano conducendolo oltre l’homo oeconomicus. E cosa dire della fustigazione del “mito virtuista” che oggi fa capolino dietro le derivazioni della cancel culture e dell’ideologia woke? Tutti elementi, per dirla con Giovanni Barbieri, che portano a sostenere che «dimenticare Pareto non è possibile».

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