lunedì 10 giugno 2013
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È stata presentata come la più grande impresa editoriale della storia del Portogallo. Quindicimila pagine, di cui un quarto inedite, per trenta volumi, di cui sono appena usciti i primi tre e gli altri saranno pubblicati a ritmo serrato da qui alla fine del 2014. Si tratta dell’opera integrale del gesuita Antonio Vieira (1608-1697), «l’imperatore della lingua portoghese» secondo Fernando Pessoa, colui al quale si inchinava un altro spirito anticlericale, quello di José Saramago: «Non vi è portoghese bello come quello scritto da questo gesuita». Che un’impresa di questa portata – promossa dall’università di Lisbona, con 52 studiosi coinvolti tra cui l’italiana Mariagrazia Russo dell’università di Viterbo – veda la luce in un momento durissimo per l’economia del Portogallo è un segno incoraggiante per la cultura. Ed è una coincidenza felice che si concretizzi a poche settimane dalla Giornata mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, con la visita del primo Papa latinoamericano nel Paese perno del Sudamerica. Vieira è stato infatti anche un protagonista della formazione del Brasile moderno. Nato a Lisbona, Vieira crebbe a Bahia, dove il padre era emigrato come scrivano del tribunale. Lì entrò nella Compagnia di Gesù e si mise in luce per le sue doti intellettuali e le sue capacità oratorie. Da studente partecipò alla difesa della città assediata dagli olandesi e divenne un ardente sostenitore della causa portoghese. Dopo l’indipendenza del Portogallo dalla Spagna, nel 1640, venne inviato in patria insieme al vicerè del Brasile per confermare la sottomissione della colonia al nuovo sovrano, João IV di Braganza, di cui Vieira divenne uomo di fiducia oltre che predicatore di corte. Per il gesuita iniziò un periodo di delicate missioni diplomatiche tra le corti europee, dall’Olanda alla Francia all’Italia. Negli anni in cui l’Inquisizione portoghese perseguiva i cristão-novos, gli ebrei sospettati di falsa conversione al cristianesimo, Vieira si espose pubblicamente contro la discriminazione nei loro confronti. Lo fece sia per motivi di real politik, convinto che dai ricchi cristão-novos sarebbero potuti arrivare investimenti strategici per il Portogallo, sia probabilmente per l’influsso di una tensione messianica che percorreva l’Europa alla metà del ’600 – e che vedeva nella conversione degli ebrei un segno escatologico – ma anche per un’apertura intellettuale e uno spirito di tolleranza che segnò il suo vulcanico operato. E che lo portò a gesti audaci per quei tempi, come quando, in un suo soggiorno ad Amsterdam, volle conoscere la comunità ebraica e sostenne dibattiti teologici con il rabbino Menasseh ben Israel. Il sospetto di filo-giudaismo e le sue tesi sulla missione salvifica del Portogallo nei confronti della cristianità – in odore di sebastianesimo, una dottrina eterodossa nata un secolo prima dalla predicazione dell’ebreo converso Gonçalo Annes Bandarra – gli attirarono da subito le attenzioni dell’Inquisizione, che gli tenne il fiato sul collo quasi per tutta la vita. Vieira si salvò per la protezione prima di João IV di Portogallo e del generale dei gesuiti Giovanni Paolo Oliva, poi di papa Clemente X. Fu lui tra l’altro a contribuire alla promulgazione di un breve pontificio, nel 1673, che ordinò la sospensione dei processi e degli auto da fé, le punizioni pubbliche inflitte dall’Inquisizione portoghese. Accanto all’attività di diplomatico e scrittore eclettico in giro per l’Europa, l’altro grande capitolo della sua vita si svolse in Brasile. Dal 1651 al 1661 in particolare lavorò alla ricostruzione delle missioni gesuitiche nel Maranhão. Compì numerosi viaggio lungo il Rio delle Amazzoni, difendendo gli indios dalle razzie e dai tentativi di schiavizzarli da parte dei coloni, scrivendo lettere al re per denunciare le violenze di cui era spettatore. Divenne una sorta di Bartolomeo de Las Casas del Brasile. Alla sua morte lasciò un’opera sterminata, fatta di sermoni spirituali, scritti politici, teologici e letterari. Il fatto che non siano stati mai pubblicati integralmente – spiega Josè Eduardo Franco, direttore del Centro di letterature e culture lusofone dell’Università di Lisbona – «si spiega con la loro dispersione in biblioteche e archivi di Portogallo, Francia, Inghilterra, Italia, Brasile e Stati Uniti. L’altro ostacolo è stata la grande varietà dei generi – dai trattati profetici, agli epistolari, ai sermoni, alle opere letterarie – che ha ostacolato a lungo un’edizione critica». Il lavoro ha avuto bisogno di un finanziamento cospicuo, a cui hanno contributo – anche questo è un dato singolare – istituzioni cattoliche come la Compagnia di Gesù, il santuario di Fatima e, in modo decisivo, la Santa Casa della Misericordia di Lisbona, la principale istituzione caritatevole del Paese. Tra le novità di questa opera omnia, spiega ancora Franco, ci saranno appunto «migliaia di pagine di testi inediti o editi finora solo parzialmente, in particolare una delle opere più importanti di Vieira, la Chiave dei profeti, e vari capitoli della Storia del futuro, oltre a opere teatrali e molti discorsi». E lo storico sottolinea l’attualità di una figura considerata tra le maggiori della cultura del Portogallo, ma pur sempre di tre secoli fa: «Padre Vieira fu un uomo d’azione che riteneva possibile un Portogallo forte, un’Europa cristiana unita e un mondo migliore, rinnovato dalla forza dello Spirito. Combattè per la giustizia sociale e denunciò le diseguaglianza di una società fondata sui privilegi ereditari. La sua utopia del quinto impero, destinato a portare nuova gloria alla Chiesa e al Portogallo, fu in realtà anticipatrice di una cultura ecumenica».
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