domenica 18 ottobre 2015
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 C’è stato un santo vegano? Sì, Francesco di Paola.  Un papa ha avanzato l’ipotesi che in paradiso troveremo il nostro cane? Sì, Paolo VI quando ad un bambino, triste per la morte del proprio cucciolo, disse: «Non piangere, perché lo ritroverai nella luce del Signore». C’è stato un dottore della Chiesa che si è interessato di dieta vegetariana? Sì, san Girolamo,  il grande traduttore della Bibbia: nel suo Adversus Jovinianum ha mostrato perché, a suo giudizio, un cristiano deve astenersi dal mangiare carne. C’è stato un pensatore e scrittore credente che ha considerato il non ingerire animali «il primo gradino della vita religiosa»? Risposta affermativa: il grande Lev Tolstoj.  Sono esistiti celebri intellettuali che hanno abbozzato una teologia del vegetarianesimo? Sì: Albert Schweitzer  e Karl Barth per il quale la pratica di non consumare cibo animale «è un’anticipazione non richiesta della pace escatologica». Mentre il medico-teologo che lavorò in Africa sosteneva il rispetto animale in nome della sacralità di ogni forma  di esistenza. Un filosofo ha posto gli animali in Paradiso? Sì, infine. André Frossard,  per il quale - rifacendosi a un affresco di Ravenna il paradiso è affollato di uomini, donne e tanti animali. Insomma, si può pensare teologicamente l’essere vegetariani? La risposta è alla fine positiva. Posizione astrusa? Mica tanto, stando a quanto dichiarato da chi vive sul campo, come quel prete di Brescia che, al convegno dell’Associazione Cattolici Vegetariani nel 2013, riferì che sono sempre più le persone che scelgono di non mangiare carne e che chiedono alla Chiesa un appoggio morale, spirituale e biblicamente fondato di tale scelta (non solo) alimentare. È pieno di spunti e di riflessioni tutt’altro che banali il testo che Lindau manda in libreria martedì 20 ottobre, frutto del terzo convegno dell’Associazione Cattolici Vegetariani, tenutosi ad Ancona due anni fa e salutato con un messaggio di papa Francesco: Il grido della creazione. Spunti biblici e teologici per un’etica cristiana del vegetarianesimo,  a cura di Luigi Lorenzetti, Paolo Trianni e Guidalberto Bormolini. Spiega il cardinale Edoardo Menichelli nella prefazione: questa attenzione «etica» non è «una stravaganza nutritiva», quanto invece «vedere in ogni realtà animata del creato la presenza di Dio e della sua santità». Ma perché la teologia dovrebbe interessarsi di 'carne o non carne' in tavola? Molteplici le ragioni, spiegano gli interessati: «L’allevamento industriale di carni è tra le cause principali dell’inquinamento e dello sperpero di risorse idriche e agricole», scrivono i curatori nell’introduzione. Il rispetto verso gli animali non è dunque, per i cattolici 'no carne', una scelta di comodo o antitetica ad un antropologia integrale: ha «un valore escatologico» e sulla scia di Teilhard de Chardin  (curiosamente, uno dei pensatori-guida dell’enciclica Laudato si’  di papa Francesco) «sta ad indicare che il valore morale insito nell’astenersi dal mangiare carne e pesce non è meramente ascetico e spirituale ma è da inquadrare in quella coscienza ecologica che l’umanità deve fare propria se non vuole condannarsi all’autodistruzione». Ma cosa dice la Bibbia su questo? Spiegano i curatori: «Nell’Antico Testamento il consumo di carne rimane una ferita, qualcosa di malvagio. E l’Eucaristia è la redenzione dal delitto di mangiare carne». Paolo De Benedetti, nel suo denso saggio appunto di carattere biblico, si rifà al già citato Barth per dire: «Dio è altrettanto presente nelle trippe di un topo quanto lo è nel nostro Spirito». De Benedetti mette in fila vari versetti scritturistici in cui viene attestato il rispetto che si deve all’animale, per poi affermare: «Se l’animale non ha nozione di Dio, ha però nozione dell’uomo, e nella Bibbia che cosa è l’uomo se non l’immagine di Dio?». E se gli animali «possono», in qualche maniera, «sentire» e parlare con l’uomo e finanche con la divinità («Stendi le tenebre e viene la notte e vagano tutte le bestie della foresta: ruggiscono i leoncelli in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo», recita il Salmo 104), allora, in tal senso, non sono evanescenti i problemi morali che Luigi Lorenzetti pone. Primo, gli allevamenti intensivi di animali: «Nella Scrittura non si dice nulla perché nemmeno esistevano, ma il giudizio è di netta disapprovazione morale». Altri giudizi negativi riguardano poi: «Il maltrattamento degli animali, la detenzione negli zoo; lo sfruttamento nei circhi; la crudele e inutile pratica della vivisezione per la ricerca scientifica; la caccia per sport; l’allevamento per pelliccia». Tanto più se, come si evince leggendo il saggio di Bormolini, sono numerose e varie le attestazioni di santi (non solo Francesco…) che parlano e discorrono con i più vari animali: il Padre del deserto e monaco egiziano Macario  sentì un lupo colloquiare con il Creatore;  san Giuseppe da Copertino comandava agli uccellini; san Vittore di Palncy  sentiva un passero recitare l’Ave Maria. Dunque, le conclusioni sono abbastanza chiare, per i vegetariani credenti: non si è obbligati cristianamente ad astenersi dalle carni, ma la verità cristiana non è estranea al «vegetarianesimo » (Paolo Trianni). E se lo stesso autore evita di considerare Gesù un apostolo di tale scelta alimentare, al contempo rigetta quella lettura scritturistica per la quale l’uomo ha il dominio totale su natura e animali. Insomma, si può scegliere di mangiar solo erbe e frutta in nome del Vangelo, ma non si è obbligati a lasciar da parte la fiorentina. Certo che chi fa questa scelta - sostengono i vegetariani credenti è davvero una persona in salsa evangelica.
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