mercoledì 8 febbraio 2012
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«Una volta, Taylor mi chiese di dargli una memoria sulle attuali condizioni d’Italia, che sarebbero poi state, finita la guerra, quelle da cui si sarebbe partiti per riordinarne la vita. Mi rivolsi a De Gasperi, allora nascosto a Propaganda Fide presso monsignor Celso Costantini, poi cardinale. La memoria fu pronta ben tosto. Soltanto era omesso il suo nome e quanto poteva fare un uomo come lui. E questo lo aggiunsi io… Seppi poi che fu letta attentamente da Roosevelt, da Churchill, da Daladier. Mi accorsi che ne era stato tenuto conto soprattutto per ciò che riguardava De Gasperi». A consegnare il memorandum, nel settembre 1942 all’americano Myron Taylor, rappresentante personale del presidente degli Stati Uniti presso la Santa Sede, era stato (come risulta dalle sue memorie) il conte Giuseppe Dalla Torre, autorevole direttore dell’Osservatore Romano, che ben conosceva come si stesse muovendo la Segreteria di Stato per il dopo fascismo. La Santa Sede riteneva di non compromettersi con un partito "cattolico" e con esponenti di questo per la gestione del Paese, preferendo una transizione più morbida e meno traumatica. Ancora nel maggio 1943 il segretario di Stato, cardinal Maglione, non indicava alcun nominativo per un futuro governo italiano. Il memorandum di Dalla Torre, con il riferimento esplicito a De Gasperi, allora dipendente della Biblioteca vaticana, si collocava quindi in controtendenza con questa linea attendista del Vaticano anche se coglieva stati d’animo e prospettive politiche (si pensi alle posizioni di Montini, allora sostituto alla segreteria di Stato) proprie di una situazione in movimento, nella quale già da tempo stava venendo meno la condizione di isolamento (una sorta di "esilio interno in Vaticano") dell’ex leader del Partito Popolare. E il direttore dell’<+corsivo>Osservatore romano<+tondo>, ben li interpretava, fuori da ogni ufficialità, e in un certo senso li faceva suoi.
 
Già nell’agosto del ’42, a Borgo Valsugana, nella casa di De Gasperi, c’era stata una riunione, frutto di precedenti contatti non ignoti alla Santa Sede, nella quale le diverse anime del cattolicesimo politico (ex popolari, e i "guelfi" di Malvestiti in primis) avevano concordato di dar vita a un partito nuovo, la Democrazia Cristiana, con una scelta di continuità e discontinuità con il Partito Popolare. Il cambio di nome lo avrebbe spiegato parecchi mesi dopo in un articolo sul "Popolo" clandestino, "Demofilo" (così si firmava De Gasperi): «Gli anziani volevano evitare anche l’impressione di invitare i giovani a un’assemblea dove podio e poltrone fossero già occupate in forza dei meriti passati e in base all’anzianità di servizio». Un altro redattore dell’Osservatore Romano, Guido Gonella, stretto collaboratore di De Gasperi, consegnava nell’ottobre 1942 a Francis Osborne, incaricato della Gran Bretagna presso la Santa Sede, un’ampia relazione sulla situazione italiana che, nelle conclusioni, sottolineava il ruolo preminente del «partito cattolico, quale unico partito di massa che non avesse carattere rivoluzionario, capace di instaurare veramente un regime democratico rappresentativo, basato non sulla forza, ma sul consenso». Ora sul memorandum di Dalla Torre (oggetto in sede storiografica di valutazioni diverse per alcune incongruenze sulla sua genesi, come il mancato reperimento del documento originale nell’archivio del leader Dc si sofferma con alcune osservazioni un giovane storico dell’università di Bologna, Federico Mazzei, in un saggio sulla rivista Ricerche di storia politica dal titolo «De Gasperi e la Santa Sede nella crisi italiana (1942-43)» nel quale rivisita il percorso della diplomazia vaticana (e anche quello, parallelo ma autonomo, della Dc) che condurrà, dopo la caduta del fascismo, la formazione del governo Badoglio, la comparsa dei partiti antifascisti, lo sbarco degli alleati a Salerno, al pieno consenso del ruolo di De Gasperi e della sua strategia politico-programmatica tesa a realizzare l’unità dei cattolici sul progetto della Dc che proprio in quei mesi andava concretandosi. «L’iniziativa degasperiana – nota Mazzei – assunse una credibilità tale da essere direttamente coinvolta dalla Segreteria di Stato nella redazione del lungo memorandum pervenuto a Washington agli inizi del 1944, dopo aver precedentemente contribuito alla nota ufficiosa di Dalla Torre in una posizione assai meno significativa agli occhi dei vertici vaticani».
Nel dicembre 1943 era stato infatti messo a punto quello che è stato definito il memorandum Tardini, anche lui sostituto alla segreteria di Stato, nel quale si esprimeva una netta opzione per la democrazia («solo questa consente sufficienti garanzie») con l’indicazione, «per un governo provvisorio avente il compito di preparare il ritorno del Paese alla normalità», di un solo nome, quello di De Gasperi («colto, serio, attivo ed equilibrato») anche se prudentemente si aggiungeva che «siccome egli non ha mai avuto esperienza di partecipazione al governo, non è possibile essere anticipatamente certi che egli riesca». Un’indicazione che trova un ascolto quasi immediato negli Stati Uniti. Lo conferma, il 19 febbraio, un telegramma di Cicognani delegato apostolico a Washington: «È impressione che gli alleati stiano annoiandosi di Sforza e Croce (erano due possibili candidati per guidare la transizione ndr) e siano ansiosi per personaggi capaci di governare; molto si parla di De Gasperi». E Tardini annota eloquentemente: «Bisogna incoraggiarli su questa linea, e dirlo all’interessato», invitato però a mantenere la segretezza sulla comunicazione ottenuta. Alla fine del mese il cardinale Maglione confermava piena fiducia in De Gasperi scrivendo a Cicognani: «Circa persona da lei menzionata… e della quale molto di parla, Santa Sede, pur non potendo giudicare su competenza specifica, è in possesso favorevoli informazioni». Il lungo esilio di De Gasperi era finalmente concluso. Come aveva auspicato Dalla Torre.
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