venerdì 8 marzo 2019
Popolarissima grazie a “Che Dio ci aiuti”, davanti al tavolino da tè con la statuetta di Gesù di legno l'attrice ripercorre la sua carriera
Valeria Fabrizi nei panni di suor Costanza assieme a suor Angela/Elena Sofia Ricci

Valeria Fabrizi nei panni di suor Costanza assieme a suor Angela/Elena Sofia Ricci

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«Suor Costanza! La gente per strada mi chiama e, quando mi giro, ride. Chissà perché...». Valeria Fabrizi sgrana gli occhi esattamente come la vulcanica superiora che interpreta in Che Dio ci aiuti la popolarissima serie targata Lux Vide, in onda il giovedì su Rai 1. Giunta alla quinta edizione, la fiction che vede protagonista Elena Sofia Ricci nel ruolo della detective suor Angela, continua a registrare un successo record anche grazie alla simpatia di suor Costanza che ha il compito di portare avanti lo stravagante convento. «Io sono andata a scuola in un collegio delle canossiane a Bologna. Per il mio ruolo mi sono ispirata a suor Assunta, la nostra professoressa di greco e latino. Però era dura e antipatica. Così ho pensato che suor Costanza dovesse essere come me, con l’accento bolognese che fa simpatia: come lei sono impicciona, dò consigli quando non sono richiesti, sono diretta e le cose non le mando a dire» ci racconta ridendo l’attrice, 82 anni portati splendidamente, aprendoci le porte dell’elegante appartamento di Monte Mario a Roma dove ha vissuto con il marito Tata Giacobetti del Quartetto Cetra, prematuramente scomparso nel 1988.

Da autentica signora, Valeria Fabrizi ci ha invitato per un tè. Sul tavolo fratino del ’600 un piatto di croccanti frappe zuccherate, sul tavolino fra i bianchi divani del salotto foto dell’attrice al fulgore della sua bellezza (arrivò quarta a Miss Universo nel 1954) mentre sull’antico tappeto cinese un batuffolo di pelo nero rosicchia un osso di plastica. «Mirtillo ha 12 anni, me lo ha regalato la mia adorata figlia Giulia quando è uscita di casa. Viene da una famiglia di barboncini da circo» ci racconta orgogliosa mentre il cagnetto si rizza su due zampe facendo qualche passo.

La forza di Valeria Fabrizi è il sorriso, contagioso e irresistibile, anche quando racconta della malattia. Lo scorso ottobre, dopo essersi sentita male per una sospetta colica renale sul set della quinta stagione di Che Dio ci aiuti, ha invece scoperto di avere un tumore. «Ho chiesto agli autori di alleggerire il ruolo, ma ho continuato a lavorare sino alla fine e poi mi sono operata». L’operazione è perfettamente riuscita, ora la signora sta bene e a fine marzo è pronta a tornare sul set per un cameo nel nuovo film di Fausto Brizzi: «A lui debbo la popolarità presso un pubblico grazie al film Notte prima degli esami».

Ma c’è qualcuno che lei ringrazia più di tutti ogni giorno. «Vede questa statuetta di Gesù di legno? – spiega accarezzando la testa del Sacro Cuore anni ’30 che sta sulla credenza in entrata –. Me la porto dietro da quando ero bambina e abitavo nella mia città natale, Verona. Mi accompagna sempre in ogni viaggio, e ogni sera gli accendo questa candelina. La fede per me è una cosa naturale». Poi dalla camera da letto ci prende un’immaginetta in legno del Gesù della Misericordia, «quanto è bello » sussurra..., mentre in alto sul trumeau campeggia un coloratissimo Gesù in trono in ceramica. «Arriva dal Cairo, me l’ha regalato il fioraio egiziano qui sotto. Era dovuto fuggire dall’Egitto perché perseguitato ed io l’ho aiutato a portare in Italia la moglie e i quattro figli» spiega la signora Valeria che aiuta anche alcuni anziani bisognosi del quartiere, l’associazione Medici senza frontiere e vari amici sacerdoti. «E ogni sera mi faccio dare la benedizione dal Papa» confessa facendo partire dal cellulare la benedizione social di Francesco che gira su YouTube. «Magari lo incontrassi, sarebbe una felicità immensa» sussurra.

L’infanzia non è stata semplice per Valeria Fabrizi, rimasta orfana da bambina durante la guerra, quando il padre, noto dentista, venne catturato dai tedeschi in un rastrellamento a Milano e spedito nei lager in Germania. «Di lui non abbiamo saputo più nulla» racconta mentre un’ombra le passa veloce sugli occhi. Ci pensa la madre, «donna fortissima» a tirarla su e ad assecondare la passione della figlia per la recitazione. «Il mio più grande amore resta il teatro dove spero di ritornare presto, sto già scrivendo una pièce» rivela. Una vita piena di grandi incontri la sua: la sua avvenenza le apre il mondo della rivista dove si ritrova a recitare con Macario, Gino Bramieri, Carlo Dapporto, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello e in oltre 60 film.

L’amore con Tata Giacobetti, il “bello” del Quartetto Cetra scocca nel 1956 durante la tournée insieme di Carlo non farlo successo di Garinei e Giovannini con Carlo Dapporto. «Tata è l’amore della vita – dice Valeria con aria sognante –. Mi conquistò proprio perché in tour mi aveva rispettata». Anni di fidanzamento, poi il matrimonio nel 1964 con testimoni d’eccezione: Renato Rascel e il produttore Federico Zardi per lei («si odiavano, fecero pace quel giorno in chiesa» ricorda), un fratello e Gorni Kramer per lui. «Tata era un uomo e un padre meraviglioso e un artista colto e dalla preparazione pazzesca. Come tutti quelli della sua generazione, gente che recitava a braccio davanti alle telecamere...» aggiunge l’attrice che ha partecipato ad alcune puntate della Biblioteca di Studio Uno insieme al Quartetto Cetra. «Virgilio Savona, Lucia Mannucci e Felice Chiusano spesso venivano a provare qui» ci dice la Fabrizi scostando un leggero velo rosso che svela una intima “stanza del tesoro” stipata di libri e foto, dove campeggia un organo: «È quello che suonava Felice, Lucia invece era quella più puntigliosa durante le prove». E quella chitarra sulla poltroncina? «Quella è mia» dice Valeria, imbracciandola.

«Su quel divano si sedeva la sera Walter Chiari, che Tata ed io abbiamo accolto nella nostra mansarda negli ultimi cinque anni di vita, quando tutti lo avevano dimenticato. Voleva che gli cantassi sempre questa» aggiunge intonando con bella voce calda un malinconico brano di Jacques Brel dedicato agli anziani. Gli occhi di Valeria ora si fanno lucidi. «Walter ed io eravamo nati nella stessa scala, a Verona, e le nostre famiglie erano amiche. Lui era attaccatissimo a mia mamma, quando abitava qui guardavano il pugilato insieme – spiega –. Per me lui era il Principe Azzurro. Un amore giovanile, che ha avuto i suoi ritorni di fiamma. Ma io ho scelto Tata e vorrei chiarire che il sentimento tra me e Walter si è trasformato in un bene profondo e puro». Spunta un raccoglitore dove sono ordinate le lettere che Chiari le mandava, affettuose, ironiche, poetiche e, col tempo, sempre più malinconiche. Un uomo depresso e in difficoltà, su cui la Fabrizi ha vegliato fino a quel 20 dicembre 1991, in cui lui morì da solo in un residence a Milano per arresto cardiaco. Valeria non si rassegna, e si dice convinta che sia colpa di alcune «cattive compagnie». Ci mostra un bel cartoncino con la Natività di Botticelli con gli auguri di Natale che Walter le mandò da Milano. «Mi arrivò dopo la sua morte. Mentre questa lettera chiusa la trovò mia madre risistemando la mansarda» ci spiega. L’ultima lettera di Walter Chiari era indirizzata a lei e la leggerà per la prima volta in pubblico questa domenica a Domenica In in occasione del compleanno di Chiari l’8 marzo. Ma prima anticipa ad Avvenire questa preziosa missiva, dove Walter Chiari le esprime gratitudine per l’affetto e la comprensione, in un mondo da cui si sentiva abbandonato. Due esseri umani «uniti in quel nostro mondo pulito» sottolinea l’attore dicendo di sentirsi «un guerriero nudo» vicino alla fine. «Aspetto il giro di chiave» legge Valeria, mentre gli occhi le si inumidiscono. Un abbraccio, e rispunta il sorriso. «Andiamo, che il tè si fredda...».

Il saluto ai nostri lettori

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