venerdì 6 aprile 2012
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Ruvida umanità contadina, che aspira al cielo. Secoli di umile fatica, che si sommano fino all’eterno. Culture e storie differenti, dai Camuni alla Croce di Cevo, che convogliano in una simile, forse unica, ispirazione ideale: quella di costruire un cammino verso ciò che sta sopra la terra e oltre la vita. Valle Camonica: forse è questa la cifra, la chiave di un tentativo di lettura della sua identità. Qui la gente è forte come i magli, che hanno battuto per millenni il ferro nelle fucine, come le rocce levigate dall’andirivieni dei ghiacciai, che hanno lasciato immense lavagne su cui disegnare sogni e illustrare dottrine. Qui la gente ha ancora la tempra dei personaggi del Romanino, animati da un’incandescenza interiore. Qui la gente ha trovato un posto a quella grande croce, la "Croce del Papa", di cui nessuno sapeva bene cosa fare e che molti animi divise sul finire dello scorso millennio. A Cevo un bel giorno dissero, con coraggio: «la vogliamo qui, sul dosso dell’Androla!» Ed eccola la croce di Enrico Job, concepita per la cerimonia di beatificazione di Giuseppe Tovini allo stadio di Brescia, che dal punto più panoramico della Valle Camonica si libra nel vuoto, col suo profilo bizzarro: quello di un arco, che dalla terra sale al cielo e dal cielo ritorna alla terra, recando con sé un Cristo quasi a testa in giù, che si piega a proteggere gli uomini. Un arco tra la terra e il cielo, un simbolo perfetto per questa valle.Altre testimonianze delle espressioni d’identità di questa valle sono sparsi lungo le strade che la risalgono dal lago d’Iseo al passo del Tonale. Giovanni Pietro da Cemmo ci apre la porta dei tesori camuni nelle chiese di Santa Maria Assunta, a Esine, e di San Lorenzo, a Berzo Inferiore, la cui fitte trame pittoriche sono animate da una sorta di horror vacui ancora di stampo medioevale, sebbene il pittore operi nell’ultimo quarto del XV secolo. Lo stesso Girolamo Romanino, celebrato maestro rinascimentale, sembra essere debitore del prodigo Giovan Pietro da Cemmo, col suo costante tributo al ricco quadro scenico medievale. Lontanissimo dalla perfezione e dal distacco del Rinascimento classico, Girolamo incarna lo spirito della rivolta contro i miti del suo tempo, dei quali preavverte la crisi, e racconta una storia genuina e nuovissima, piena di indizi contraddittori e travagliate scoperte, carica di verità popolaresche. In Sant’Antonio di Breno c’è un’intera galleria di "brutti ceffi", i cui caratteri ci vengono restituiti con tratti leggeri ed essenziali, con stile realistico e drammatico: apostoli dalle fattezze camune, i piedi e le mani gonfie, da pastori, Cristi «contadini, montanari, tarchiati, anziani» (G. Piovene).Un altro saggio dell’arte di Da Cemmo e Romanino ci è offerto congiuntamente a Bienno, nella chiesa di Santa Maria Annunciata, persa nel dedalo di vicoli del Castello, il cuore medievale del borgo, noto anche come "borgo dei magli". Bienno fu, infatti, centro di lavorazione del ferro e lungo il corso del Vaso Re, canale derivato dal torrente Grigna, sorge l’antica fucina con maglio ad acqua, oggi sede della Fucina Museo. Un capolavoro barocco ci chiama, invece, a Cerveno, sul versante occidentale della valle. All’ombra dell’Adamello il barocco ha prodotto splendidi altari lignei, pulpiti e ancone, grazie al genio manuale di dinastie di intagliatori quali i Ramus e i Fantoni. Alla scuola dei secondi appartiene Beniamino Simoni, che tra il 1752 e il 1764 sbozzò nel legno e nel gesso la Via Crucis di Cerveno, un’opera che pare dar sostanza ai racconti usciti dal pennello del Romanino. Potenza dei rimandi e dei ritorni della storia. Anche qui "tipi" di stampo valligiano nella rappresentazione della Passione, giudei montanari, soldati romani dal ghigno barbaro: un’umanità dialettale, composta da centonovantotto statue distribuite in quattordici scene, in cui Simoni raffigura con verità e umanità il popolo dei poveri. Gli artisti della valle si conoscono bene tra loro, anche quelli vissuti in epoche diverse.Capo di Ponte, fulcro geografico della valle, è anche il compendio dei suoi tesori. Situato in riva all’Oglio, questo borgo racconta una storia millenaria, a partire dalle incisioni rupestri dei Camuni, che rappresentano una delle più ampie collezioni di petroglifi preistorici del mondo e che nel 1979 furono inseriti, primo caso italiano, nella celebre lista dell’Unesco. Approcciate con taglio scientifico a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, le oltre trecentomila figure, disseminate sui versanti della media valle, sono oggi tutelate da due parchi nazionali (quello di Naquane e quello di Cemmo) e un parco comunale (Seradina e Bedole) in territorio di Capo di Ponte, oltre alla Riserva regionale di Ceto, Cimbergo e Paspardo. Capo di Ponte, tuttavia, non è solo incisioni rupestri: abbarbicato su una rupe strapiombante sull’Oglio, l’elegante profilo absidale della pieve di San Siro spicca nel versante occidentale, superbo esempio di romanico dei secoli XI-XII, mentre su un modesto poggio tra i boschi di Teze sorge il monastero di San Salvatore (XI secolo), annoverato tra le dipendenze lombarde di Cluny. Lo sguardo, che si leva dai muri austeri di questa chiesa, sale ad incontrare le pareti di due cattedrali naturali, il Pizzo Badile Camuno a est e la Concarena a ovest, sentinelle della media valle dall’aspro profilo di pietra, alla ricerca, ancora una volta, del cielo.L'ARCHEOLOGO ANATI: QUELLE ROCCE ISTORIATE, UN LIBRO APERTO SULLA PREISTORIAAbbiamo rintracciato il professor Emmanuel Anati, massimo esperto dell’arte rupestre della Valle Camonica e fondatore del Centro Camuno di Studi Preistorici, alle porte del Negev, diretto verso Har Karkom, dove i riscontri archeologici di una ricerca trentennale lo hanno portato a identificare quel sito, e non il Gebel Katherina, con il biblico Monte Sinai. Per qualche minuto, distraiamo Anati dalla "montagna di Dio" per riportarlo alle valli bresciane, dove altrettanto importanti sono le novità degli studi sulle incisioni rupestrei.Si è detto che le rocce istoriate della Valle Camonica sono un "libro aperto" sulla civiltà camuna. Ora questo libro può essere letto e compreso?«L’arte rupestre non è una forma di abbellimento delle rocce, è una scrittura prima della scrittura, che contiene dei messaggi precisi e ha precise funzioni. Diversi sono i settori di applicazione di questa forma di comunicazione; il più importante, è quello che ha la finalità di preparare i giovani ai riti di iniziazione, al passaggio all’età adulta: una sorta di trasmissione di dottrine e di valori. Poi ci sono messaggi di commemorazione dei defunti, di celebrazione degli antenati. Tuttavia, la chiave d’interpretazione non può essere unica, perché nelle diverse epoche ci imbattiamo in sistemi di comunicazione diversi: ad esempio, c’è un sistema di comunicazione del Neolitico, che non è uguale a quello dell’età del Ferro».Queste differenze riflettono dei cambiamenti nelle popolazioni che scrivevano?Pensiamo che si trattasse delle stesse popolazioni, ma con acculturazioni diverse. Nelle diverse epoche ci sono state, infatti, influenze diverse, dovute, ad esempio, agli scambi economici, ora rivolti prevalentemente a nord, ora all’area italica».Sulle rocce camune, oltre agli ideogrammi, che iniziate a interpretare come un vero e proprio sistema, c’è anche una vera e propria scrittura alfabetica?«Intorno alla fine del V secolo a.C. compare la scrittura definita nord-etrusca con una lingua locale, che potremmo chiamare "reto-camuno", ossia una lingua retico-camuna. Fino a quel momento c’era stata solo scrittura pittografica, fatta di figure e simboli o, come si dice, ideogrammi, in cui ogni carattere grafico corrisponde a una parola. Una scrittura pittografica, concepita per comunicare, per trasmettere messaggi, che poco a poco stiamo riuscendo a leggere. Così, le incisioni rupestri della Valle Camonica si trasformano in un formidabile archivio di conoscenze su diecimila anni di storia d’Europa. E questa è una svolta epocale»
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