venerdì 4 maggio 2012
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Quel lembo di terra che s’incunea, quasi nascosto, in un angolo della Sicilia, tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento e che è attraversato da un fiume-torrente con un letto a tratti molto largo e poi ristretto tra anfratti, salici e canneti, prende il nome di Valle del Belice. Conserva antiche memorie storiche, è ricco di grandi potenzialità agricole, ambientali, turistiche e si offre al visitatore come una mappa variegata di eventi e di emozioni. Aleggia  in tutto il territorio della Valle una antica memoria storica che risale addirittura, in certi casi, all’VIII secolo a.C., e, a risalire dalla costa fino all’interno, ci si rende conto dell’arcaicità e della modernità degli agglomerati  attraversando paesi o paesoni come Menfi, Castelvetrano, Campobello di Mazara, Sambuca di Sicilia, Montevago, Santa Margherita Belice, Gibellina , Partanna, Santa Ninfa… fino a quando poi il paesaggio sconfina definitivamente nella provincia di Palermo o si apre nel Golfo di Castellammare. Segesta e Selinunte, a nord e a sud sulla costa, sembrano chiudere tale valle con i loro ruderi archeologici e con la loro proverbiale ed eterna rivalità: la prima fiorente in epoca romana e poi decaduta nel periodo medievale, conserva ancora il meraviglioso teatro greco con il suo fascino artistico e ambientale; la seconda, sulle sponde del mare Mediterraneo con i monumentali templi, muti e solenni testimoni di una civiltà antichissima. Alla ricchezza archeologica che fa riandare la memoria ai greci, ai romani oppure agli arabi e agli spagnoli, fa riscontro la grande risorsa agricola, naturalistica e culturale a tal punto che, ormai da tempo, la principale ricorsa economica della Valle è quella agro-alimentare, la coltivazione dell’olivo e della vite. Lo fu già dai tempi antichissimi, alle origini di  Selinunte, quando allora gli abitanti coltivavano le terre fertili dell’interno dell’isola, producendo olio, vino e cereali; sulle loro navi poi le esportavano nel nord Africa e nella Grecia. Man mano e nei tempi attuali ancora di più, con le esigenze delle strutture adeguate e moderne, sono subentrate numerose cantine sociali e cooperative nei vari campi della produzione vinicola e oleificia.La presenza poi di Riserve naturali e del lago Garcia dà maggiore spinta alla valorizzazione dell’ambiente, del territorio, all’agricoltura e alla ricostruzione delle formazioni dunali, della flora e della fauna, caratteristiche degli ambienti sabbiosi: il giglio di mare, la canna, il giunco, il ravastrello, l’acacia, l’olivastro, il cappero…; mentre, tra la fauna, il martin pescatore, l’airone cenerino, la gallinella d’acqua, il gabbiano. Si aggiunga che il frequente e diffuso problema della irrigazione delle colture è stato in buona parte risolto con la creazione della diga (lago) Garcia nel comune di Contessa Entellina. Realizzato a metà degli anni Ottanta, a seguito dello sbarramento del Belice Sinistro, il lago Garcia è riserva naturale ed è un <+corsivo>habitat<+tondo> ideale per  gli uccelli migratori nel periodo di svernamento.
Su tutta la Valle pesa ancora l’ombra del terremoto avvenuto nel gennaio del 1968: pesa la triste memoria di più di trecento morti, pesa la «via crucis» di una lenta e drammatica ricostruzione, pesa ancora il fardello di qualche strascico polemico là dove non tutto è stato ricostruito anche a distanza di più di quaranta anni. Pur avendo assistito all’opera coraggiosa e indefessa di alcuni sindaci , religiosi e persone  di cultura, tuttavia c’era come un Grande Fratello che divorava tutto. Memorabili sono state le iniziative di don Antonio Riboldi, allora parroco di Santa Ninfa; iniziative programmate e svolte sul posto, a Palermo e a Roma per far sentire la voce anche di bambini cresciuti tra le macerie del terremoto. Partecipò a cortei e manifestazioni davanti al Parlamento in difesa delle richieste dei suoi concittadini e collaborò con diverse persone della vita politica e istituzionale tra cui Carlo Alberto Dalla Chiesa e Piersanti Mattarella. Memorabili successivamente, in anni posteriori, le iniziative di Ludovico Corrao, sindaco di Gibellina, e le iniziative di tanti altri meno famosi, ma che hanno messo un mattone di ricostruzione in un’opera paziente  e costante.
Oggi Gibellina costituisce un museo <+corsivo>en plein air<+tondo>, un luogo in cui l’arte si fonde con la quotidianità e la monotonia giornaliera con la profonda cultura delle opere pittoriche, musicali, architettoniche, scultoree, grazie all’opera di Corrao e la pronta corrispondenza di artisti come Mario Schifano, Arnaldo Pomodoro, Emilio Isgrò, Fausto Melotti, Andrea Cascella, Franco Angeli, Leonardo Sciascia…A Santa Margherita Belice si può ammirare il grandioso palazzo dei Filangeri di Cutò, meglio conosciuto come dei Tomasi di Lampedusa, ancora quasi intatto nella sua maestosità, nel suo immenso giardino, così come lo vedeva e dove ha abitato, per un periodo di tempo, la nobile famiglia dello scrittore. Un gioiello architettonico e storico. «La casa di Palermo, scrive Tomasi di Lampedusa ne I luoghi della mia prima infanzia, aveva anche delle dipendenze in campagna che ne moltiplicavano il fascino: Santa Margherita Belice, la villa di Bagheria, il palazzo a Torretta e la casa di campagna  a Raitano. Vi era anche la casa di Palma e il castello di Montechiaro, ma in quelli non andavamo mai. La preferita era Santa Margherita nella quale si passavano lunghi mesi anche d’inverno».
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