martedì 6 dicembre 2022
A colloquio con Marija Gajdar, l’attivista figlia del ministro di El’cin: fu epoca «di cambiamento che poteva rivelarsi grandioso ma che si è inceppato nelle pieghe di un Paese sterminato»
Michail Gorbacëv (1931-2022) guidò l’Unione Sovietica dal 1985 fino alla sua dissoluzione nel 1991

Michail Gorbacëv (1931-2022) guidò l’Unione Sovietica dal 1985 fino alla sua dissoluzione nel 1991 - Epa / Guillermo Legaria

COMMENTA E CONDIVIDI

Marija Gajdar, com’è noto, è figlia di uno dei più famosi riformatori della Russia: il primo ministro post-sovietico, Egor Gajdar. Donna coraggiosa, attivista instancabile con una profonda sensibilità storica e pedagogica, è stata anche consigliere del governatore regionale per le questioni sociali nella regione di Odessa, in Ucraina, oltre che spesso, in prima fila, fra gli intellettuali del dissenso.

Il periodo storico vissuto da suo padre è al centro di studi di primissimo livello nei dipartimenti di storia di tutta Europa e anche in Italia. Queste iniziative accademiche sono quanto mai utili per comprendere la Russia di oggi e questi strani tempi, segnati dolorosamente dal ritorno della guerra nel nostro continente.

Dialogare con la Gajdar è stata una bella occasione, anche se questo dialogo (che segue) non è strettamente legato ai fatti più recenti, anche nel rispetto di chi vive, in questo momento, una situazione di pericolo, a causa delle proprie idee. Partiamo dai famosi tempi di Gorbacëv, recentemente scomparso e dalla sua Russia, che oggi quasi rinnega quel periodo. La Gajdar risponde: «L’elezione di Gorbacëv fu accolta con grande entusiasmo dalla popolazione dell’Unione Sovietica, poiché quel momento segnava la fine di una pericolosa gerontocrazia, priva di cultura e coraggio politico. Gorbacëv, come hanno notato puntualmente gli storici, rappresentò una svolta importante». Le sue più urgenti riforme? «Senza dubbio – dice Marija Gajdar – seppe organizzare un veloce ritiro dall’Afghanistan, proponendosi poi di cambiare la chiave di lettura della situazione internazionale nell’anno in cui (1985) veniva anche eletto Reagan. Dopo diversi fallimenti, il 14 aprile del 1988, a Ginevra, fu firmato l’accordo per il ritiro sovietico da Kabul, fino ad arrivare al febbraio dell’89, dove la 40ª Armata sovietica si ritirò definitivamente, dopo quei tredicimila morti. In quel caso, la resistenza di un popolo piegò uno dei più grandi eserciti al mondo. Da quel momento Gorbacëv volse il suo sguardo internazionale all’idea di limare lo scontro esasperato tra capitalismo e comunismo, che stava costando molto all’Unione, soprattutto nella continua corsa agli armamenti. Inoltre l’obiettivo principale fu una ristrutturazione della situazione economica, ma questo impegno si rivelò sia una fortuna che una condanna».

Gajdar fa inevitabilmente riferimento al periodo che va dalla fine del 1988 in avanti, quando il problema dell’economia, nell’Urss, divenne quasi emergenziale. Gli anni passati ad aggirare le difficoltà economiche, smembrando la direzione politica, e sottovalutando la riforma dei prezzi, avevano causato una totale anarchia produttiva. I problemi socio-economici gravi non modificarono la linea adottata da Gorbacëv. Come ha brillantemente esaminato Gianfranco Addario, giovane studioso di Storia contemporanea della Luiss, le riforme economiche importanti continuarono a essere ignorate per il timore che, insieme a proteste contro la perestrojka, si potessero generare anche una serie di conflitti, potenzialmente in grado di sfociare in una guerra civile, a causa delle proteste nazionali che erano esplose.

I popoli dell’Unione Sovietica chiedevano una sempre maggiore autonomia economica, ma queste richieste venivano regolarmente deluse. Davanti al crescere di ondate di protesta, l’apparato del Pcus iniziò un lento spostamento del baricentro politico, con una resistenza alle riforme per mantenere un potere che stava fuggendo dal controllo del Cremlino. Come ricorda la Gajdar: «La svolta conservatrice coinvolse anche Gorbacëv, che iniziò ad attaccare verbalmente i riformisti più radicali, accusandoli di aver portato alla degenerazione più completa le riforme da lui avviate. In questo scenario va ricordato un altro momento fondamentale. Gorbacëv continuò a spingere per la costituzione di un nuovo trattato dell’unione, ma, pochi mesi dopo, gli Stati raggiunsero un accordo su un trattato che creava una confederazione dotata di alcuni poteri federali. Fra i diversi Stati, fu l’Ucraina a dimostrarsi maggiormente titubante sulla nuova proposta di Gorbacëv e decise di ricorrere a un referendum popolare. La Russia di El’cin, poi, decise di subordinare la propria adesione al nuovo accordo a una precedente ratifica del trattato da parte dell’Ucraina. Il 90% dei votanti ucraini furono a favore di una totale indipendenza. Fu un atto fondamentale per la fine dell’Unione Sovietica. Per nomina di El’cin, mio padre compose un team di giovani economisti, attratti anche dal sistema capitalistico, ai quali furono affiancati esperti come Jeffrey Sachs».

Condividendo ancora una volta l’analisi di alcuni storici, possiamo dire che la terapia d’urto di El’cin-Gajdar, pur nelle sue grandissime intuizioni, provocò un malcontento diffuso. La Russia non era pronta a quella svolta economica. Tuttavia non sono i giudizi a interessarci oggi, ma l’analisi profonda di un cambiamento che poteva rivelarsi grandioso, ma che si è inceppato nelle pieghe complesse della storia di un Paese dalla grandezza sterminata, a cavallo fra Europa e Asia». Proprio questa sua natura sterminata, da un punto di vista geografico, sottolinea Gajdar, è anche alla base di contraddizioni e difficoltà: «I detrattori dissero che le riforme di mio padre svalutarono i risparmi di milioni di cittadini russi. I sostenitori, invece, dissero che le sue riforme, benché dolorose per milioni di cittadini, contribuirono al boom economico russo. Di certo oggettivamente iniziò uno svecchiamento enorme, non senza difetti, come spesso accade ai riformismi».

Quegli anni furono forieri anche di cambiamenti culturali e pedagogici. Opportuno ricordare una grandissima figura come Grigorij Kornetov, il quale ha intrapreso, proprio in quel frangente, ricerche su temi inediti di storia della pedagogia, cogliendo un peculiare momento di transizione. Dopo il 1991, infatti, nell’ambito delle scienze dell’educazione si è assistito a un progressivo abbandono dei principi marxisti. «Sì, con Kornetov si articolò una evoluzione scientifica ricca nella visione della scuola e della ricerca in Russia». Come ben sintetizza Maria Gajdar, i tempi attuali sono simili a quella poesia di Pasternak, che vede Kiev avvolta dai raggi del sole, vinta dal sonno, ma non di certo sconfitta.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: