sabato 19 maggio 2012
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Si intitola «Il cuore di Milano, Identità e storia di una capitale morale» il volume a cura di Danilo Zardin realizzato dalla Fondazione per la sussidiarietà, che esce il 23 maggio da Rizzoli. Il libro raccoglie vari contributi (fra cui Edoardo Bressan, Alessandro Rovetta, Maria Bocci, Aldo Carera, Alessandro Colombo, Daniele Bardelli) e viene presentato lunedì 21 alle ore 11 alla Biblioteca Ambrosiana da Sandrina Bandera, monsignor Franco Buzzi, Franco Loi. Qui anticipiamo ampi brani della prefazione di Lorenzo Ornaghi (nella foto), ministro per i Beni e le Attività Culturali.Non è sempre facile stabilire che cosa ci sia di assolutamente unico e speciale nelle circostanze che hanno reso Milano quel­lo che ora è. Occorrerebbe conoscere altrettan­to a fondo la storia delle altre «patrie» e dei mil­le campanili che, dialogando e anche rivaleg­giando a volte duramente tra di loro, hanno con­corso a formare il tessuto multicolore della no­stra Italia unita. Milano è sempre stata un polo di attrazione di gruppi e forze sociali, così da amalgamarli in un comune destino, proiettato alla realizzazione di scopi fondati su una sintesi (anche se, nelle dif­ferenti stagioni storiche, non sempre pacifica e immediatamente armoniosa) di identità in ori­gine estranee, di una pluriformità dialettica e nel­lo stesso tempo aperta a esiti di conciliazione fe­conda e produttiva. La milanesità è appunto il risultato di questo complesso processo di assimilazione, in un cor­po unitario, di una molteplicità di elementi ca­paci di contaminarsi e integrarsi reciprocamen­te. L’innesto di Milano nella storia del mondo eu­ropeo è stato filtrato da ininterrotti aggiustamenti e correzioni, in cui le élites dei ceti dirigenti cit­tadini, una volta costituite, hanno dovuto fare i conti con sempre nuove realtà che premevano per imporre il loro peso, i loro interessi, le loro strategie. La vicenda storica di Milano – sempre più centro costitutivo dell’Europa – giunge fino agli esiti, più vicini a noi, degli opposti orienta­menti ideologici e politici, destinati a misurarsi in una lunga concorrenza e a competere per il go­verno politico complessivo della società, intera­gendo con le diverse anime (commerciali, indu­striali, finanziarie, intellettuali) da cui è stato trai­nato il decollo della grande città moderna e con­temporanea.Il gigantesco boom della metropoli – quando, dalla metà dell’Ottocento in poi, ha cominciato a straripare al di là dell’antico circuito delle mu­ra spagnole in cui era sin lì rimasta quasi total­mente rinchiusa – non sarebbe stato possibile senza l’arrivo e il non facile radicamento di fo­restieri provenienti dai borghi e dalle città mi­nori circostanti e, più tardi, dalle regioni econo­micamente meno favorite di tutta la penisola, in particolare dall’area veneta e meridionale. Così come, ancora oggi, la trasformazione in città “po­stmoderna” dei servizi e del terziario avanzato si collega all’ingresso di stranieri che, provenendo anche da Paesi molto lontani, contribuiscono a infittire quel meticciato di usi e culture, nel cui labirinto si riversa l’apertura planetaria della cir­colazione degli uomini e delle reti della società dominata dal modello occidentale.In secondo luogo, accostandosi alla vicenda di Milano, si comprende come lo sviluppo di cui essa è stata potente animatrice non sia scaturi­to unicamente dalla forza aggressiva delle ri­vendicazioni dei gruppi sociali, dei ceti e delle i­stituzioni. Nella storia di Milano, con ben mag­giore evidenza di altre comunità e sintesi terri­toriali, si vede che il progresso autentico, per far­si stabile e duraturo, deve tendere a darsi un or­dine, un equilibrio interno; deve essere «incivi­limento ». Il bene comune non può che trarre vantaggio dalla possibilità di diventare un bene eticamente indirizzato, nutrito dai canoni di u­na o più visioni ideali, rispettoso, non solo per e­nunciazione astratta di principio, delle convinzioni e dei diritti del­le differenti forze costitutive del­la società. In questo senso, anco­ra una volta, colpisce il fatto che la milanesità non abbia mai a­mato le fughe avventurose verso il nuovo, l’esasperazione unilate­rale dei conflitti, le illusioni di pa­lingenesi rivoluzionarie. Invece, la comunità sociale di Milano ri­flette le proprie propensioni alla paziente costruzione del doma­ni, la propria volontà di tratte­nere il meglio delle tradizioni preesistenti. Milano è piena di realismo e di senso pratico, spes­so ardita e sperimentatrice, con al centro un patrimonio di idee e di aspirazioni fatto di acuta re­sponsabilità civile, di tenace e o­perosa fede religiosa, di disponi­bilità ad accogliere i fermenti po­sitivi di un ethos cittadino fecon­dato dall’invenzione settecente­sca dei Lumi e dalle moderne pro­gettualità politiche degli ultimi due secoli. Il progresso materiale si è mantenuto a lungo incardi­nato sul senso di appartenenza a una grande co­munità di cui ci si riconosce figli. La lezione del passato consente di fendere le neb­bie del presente. E di guardare senza eccessive in­quietudini al futuro. Sfidata a pensare e attuare un diverso e più giusto modello di sviluppo, Mi­lano ritrova le ragioni della propria leadership e­conomica e culturale, insieme con la fiducia nel­la propria capacità di leadership morale, nel cuo­re stesso di tutta la sua storia, ossia nell’equili­brata coscienza di sé e delle responsabilità a cui è oggi chiamata.
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