venerdì 16 dicembre 2022
Lo scrittore belga, seguace della scrittura di Sebald, imbastisce un romanzo all’epoca del nazismo, che cerca di lavare i panni sporchi di una nazione dilaniata dal collaborazionismo
A Sankt Vith, nel Belgio orientale, la popolazione in festa accoglie i nazisti invasori nel maggio del 1940

A Sankt Vith, nel Belgio orientale, la popolazione in festa accoglie i nazisti invasori nel maggio del 1940 - Bundesarchiv Bild/WikiCommons

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Lo scrittore tedesco W. G. Sebald (1944-2001) ha fatto scuola: Stefan Hertmans, autore fiammingo, nato a Gand nel 1951, può considerarsi un suo allievo come conferma il suo ultimo romanzo: L’ascesa, tradotto per Marsilio da Laura Pignatti dal nederlandese (che molti chiamano ancora “olandese”; pagine 384, euro 19,00). Hertmans è belga fiammingo, dunque scrive in nederlandese. Il problema linguistico in questo suo romanzo-mémoir è centrale: il protagonista, un fiammingo convinto che fin dalla prima infanzia ad Anversa, si scontra – e non teoricamente – con i francofoni, privilegiati, appartenenti all’élite sociale e culturale del paese. Nel giovane Willem cresce un odio sordo contro coloro che lui considera gli invasori della libera e nobile Fiandra. Un ragazzo nazionalista violento, ma il destino cambia rapidamente le carte in tavola quando nel 1925: «Un nuovo nome compare: quello dell’uomo che nel novembre del 1923, con un putsch partito da una birreria di Monaco, cerca di rovesciare la repubblica di Weimar. Le sue milizie portano una fascia con un simbolo derivato dall’induismo. Tendono il braccio in segno di saluto; qualcuno sostiene che imitino i legionari dell’antica Roma. No, dice qualcun altro, è un’invenzione da attori, è puro teatro. Le loro apparizioni pubbliche sono impregnate di violenza bruta e intimidazioni ma al tempo stesso esercitano un certo fascino, sono qualcosa di inaudito. Espressionismo nelle parole e nei fatti! Il diluvio universale è in arrivo! Il vento è cambiato, ed è vento di tempesta!». L’esistenza di Willem s’intreccia subito con il nazionalsocialismo: il sogno esasperato degli estremisti fiamminghi è di rovesciare in vittoria la loro causa perdente con l’aiuto del grande fratello germanico, che nel 1939 si concretizza con l’invasione (per Willem: con la liberazione) delle Fiandre dal giogo dei francofoni. L’estremismo si estende nella sua vita, s’insinua nella sua famial glia, negli affetti più intimi di marito e padre. Vi è un senso di timidezza, quasi di vergogna da parte di William per mostrarsi quello che sta diventando ovvero un collaborazionista della Gestapo, e un membro della Divisone delle SS fiamminghe. La sua vita si attorciglia con il destino tragico del Terzo Reich, quello millenario, che durò appena tredici anni e furono già troppi. Fuga in Germania con altri collaborazionisti, cattura, atteggiamento spavaldo al processo, carcere, e dopo anni la grazia, che poco lo aveva cambiato interiormente. Il racconto è esemplare per la guerra civile (che abbiamo ben conosciuto anche noi dl ’43 ’45) con la sorte dei numerosi collaborazionisti. Il racconto conferma l’incidenza di questi movimenti razzisti, antisemiti, antidemocratici nell’Europa occupata dai nazisti. Ma l’interesse del racconto è anche nella sua costruzione: l’autore si serve di un espediente efficace perché reale: compra una casa disabitata in un quartiere in rovina di Gand e là lentamente scopre la verità della storia del passato recente: la casa, ormai decaduta, è una struggente e potente metafora del destino sciagurato di Willem, che vi abitava con la sua famiglia, moglie e figli, che avevano prese le distanze dal padre, pur non rompendo mai con lui. Il figlio è diventato un importante professore di storia, docente dell’autore e così il romanzo diventa quello che in realtà è: un mémoir, come da noi Accanto alla tigre di Lorenzo Pavolini, con cui Hertmans condivide la tecnica “sebaldiana” dell’inserimento di numerose foto, non artistiche, ma autentiche “pietre d’inciampo” per intensificare l’emozione del racconto, costruito con i diari della madre, che sopporta con cristiana rassegnazione e nobiltà d’animo il destino di avere un tale marito. Il figlio Adriaan Verhulst ha pubblicato nel 2000 un’autobiografia dal titolo esplicito e tremendo: Figlio di un fiammingo sbagliato. E Willem era proprio sviato nella sua tumultuosa e disperata esistenza: da giovane seduce e sposa un’ebrea d’origine tedesca, che muore precocemente di cancro; al letto di morte della moglie conosce la dolce Mientje, dolce e devota, che vive all’interno della fede «per Dio, per il suo santo Dio protestante olandese», dove ciò indica una realtà ardente e non una separazione. Per amore segue Willem a Gand, rovinandosi la vita, anche se la realizza nella maternità: Adriaan e le sorelle Letta e Suzanne. Il racconto è costruito sulle loro generose testimonianze, su brani le scarne memorie della madre, nonché sulle “lettere dal carcere” e persino sulle poesie (miracolo della galera) di Willem e su un diario inedito dell’amante di Willem, anche lei una fanatica nazista, come pure sulle accurate investigazioni dell’autore che intreccia le testimonianze dei vari membri della famiglia e dei numerosi conoscenti con i destini dell’Europa e segnatamente delle Fiandre. Ne risulta un immenso, coinvolgente affresco storico e letterario, in cui, ancora una volta, la microstoria è l’emblema della tragedia del Novecento, in cui ciò che appare effimero diventa, goethianamente, simbolo dell’eterno.

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