mercoledì 24 gennaio 2018
È possibile il dialogo tra mondo musulmano e modernità? Molti pensatori francesi sostengono di sì. Ma il progetto è complesso e per lo scrittore Boualem Sansal va contemplato il rischio di fallimento
Un Illuminismo anche per l'islam
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Un «nuovo islam», in effetti, esisterebbe già, ma lo stesso Boualem Sansal, che pure ne segnala l’esistenza nel suo saggio Nel nome di Allah (traduzione di Margherita Botto, Neri Pozza, pagine 144, euro 13,00), lo considera come un «aneddoto» e niente più. È l’edonismo materialista dei musulmani più secolarizzati e benestanti, per i quali «fare shopping cinque volte al giorno sostituisce il rito religioso», in una strana miscela tra «devozione e affarismo».

Non è una strada percorribile per il dialogo, si capisce. Peggio ancora, è una strada senza uscita, che lascia del tutto immutato il contesto che Sansal descrive in questo libro che, apparso in Francia nel 2013, avrebbe forse avuto bisogno di qualche aggiornamento per l’edizione italiana. Nelle pagine di Nel nome di Allah non si fa cenno della strage di Charlie Hebdo né dell’ascesa di Daesh, per esempio, ma questo non rende meno interessante il punto di vista dell’autore. Nato nel 1949, l’algerino Sansal ha infatti raggiunto fama internazionale nel 2015 con 2084. La fine del mondo (disponibile sempre da Neri Pozza), romanzo distopico nel quale parole come Corano e islamismo non sono mai adoperate, benché tutto – dalla dottrina basata su un libro rivelato fino all’ossessivo rigorismo morale su cui è fondata la teocrazia dell’immaginario Abistan – rimandi al fondamentalismo musulmano.

In Nel nome di Allah Sansal invita a non «confondere l’Islam, religione quanto mai rispettabile e fulgida, con l’islamismo, che è la strumentazione dell’Islam in un’ottica politica» e si premura, ogni volta che gli è possibile, di valorizzare l’apporto delle correnti musulmane più tolleranti. Nonostante questo, gli elementi problematici o addirittura inquietanti continuano a prevalere. Il tema della libertà personale e di espressione, l’esaltazione – anche da parte dell’Occidente – di una «identità araba» sul cui carattere strumentale e fittizio Sansal torna a più riprese, il moltiplicarsi di fattori capaci di favorire e accelerare il processo di radicalizzazione sono questioni ancora irrisolte e per le quali, più che altro, non è facile immaginare una soluzione a breve termine. Prima ancora, Sansal torna spesso sulla storia per proprio Paese per domandarsi come abbia fatto «l’Islam in così poco tempo, in due o tre generazioni, dopo essere scomparso dal radar della storia, monopolizzata dall’Occidente cristiano a partire dal Medioevo, a tornare in primo piano con tale forza e tali certezze, che tutto travolgono sul loro cammino».

Nessuna alternativa, dunque? Sansal dedica una parte delle sue riflessioni a un fenomeno relativamente poco noto in Italia, quello del cosiddetto «Islam dei Lumi», le cui istanze sono spiegate e rilanciata da Islam des Lumières, un’interessante raccolta di saggi curata dalla semiologa Alessandra Luciano per Rosenberg & Sellier (pagine 132, euro 12,00). Resa popolare dal pensatore franco-algerino Malek Chebel in un libro uscito una decina di anni fa da Sonda, Manifesto per un Islam moderno, la nozione di «Islam dei Lumi» raccoglie oggi una serie di elaborazioni intellettuali non sempre sovrapponibili tra loro, ma accomunate dalla volontà di promuovere nuove forme di “illuminismo musulmano”. Il richiamo è, da una parte, alla grande stagione dell’Islam medievale, i cui risultati in campo scientifico e filosofico sono stati valorizzati dallo statunitense S. Frederick Starr in un importante studio significativamente intitolato L’il-luminismo perduto, entrato lo scorso anno nel catalogo Einaudi. D’altro canto, come fa osservare la stessa Alessandra Luciano, la presenza della luce rappresenta una costante della mistica islamica, specialmente nell’ambito del sufismo.

L’Islam des Lumières si fonda su premesse storiche e concettuali niente affatto labili, che però non sminuiscono affatto la complessità dei problemi da affrontare. Nel suo contributo al volume il sociologo Luigi Berzano insiste sulla necessità di definire in modo non ambiguo uno spazio pubblico musulmano nel quale la stessa esperienza religiosa sia vissuta in forme non coercitive e non identitarie, così da permettere il confronto con il cristianesimo. La questione centrale resta, in ogni caso, quella della ijtihad, la facoltà di interpretazione attualmente gestita in una dimensione che non tiene conto della libertà del singolo credente né delle acquisizioni del pensiero contemporaneo. Da Malek Chebel in poi, la necessità e la possibilità di estendere al Corano, agli hadith (i “detti del Profeta”) e alla stessa shari’a la pratica dell’interpretazione critica è la caratteristica più evidente dell’Islam des Lumières, in una varietà di soluzioni tra cui si segnala, per intraprendenza, quella proposta da Abdennour Bidar a proposito dell’utilizzo coranico della qualifica di khalifa: Dio, in questa visione, non avrebbe proclamato alcuni uomini come suoi “luogotenenti”, ma avrebbe scelto come “successore” l’umanità intera, in un avvicendamento spirituale che contraddice ogni pretesa di immobilismo. Sono posizioni molto articolate sul piano speculativo, che vanno dall’ipotesi di un «islam non religioso» sostenuta da Mohammed Arkoun fino all’appassionata perorazione a favore della libertà personale che Abdennour Bidar affida al testo ora riprodotto in Islam des Lumières.

Ci muoviamo, come è evidente già dalla terminologia, in un contesto fortemente influenzato dalla cultura francese, la stessa alla quale fa riferimento anche Boualem Sansal, che all’«Islam dei Lumi» guarda però con malcelato scetticismo, e non soltanto per l’apparente impossibilità di conciliare gli assunti dei pensatori appena ricordati con la predicazione proveniente da «moschee improvvisate, clandestine, sottratte a ogni controllo, il cui insegnamento non è altro che un indottrinamento primitivo». Del resto, anche i casi di studio passati in rassegna dagli specialisti Michele Brigone e Abdessamad Belhaj in Islam des Lumières (l’evoluzione del ruolo dell’università di al-Azhar, anche in relazione all’interdetto sul film hollywoodiano Noah, e le vicende del partito islamista tunisino Ennhada) rivelano la difficoltà di dare effettiva esecuzione pratica ai princìpi sostenuti delle tendenze di pensiero più avanzate. Sansal, dal canto suo, rimane scettico. «In quattordici secoli – sostiene – nell’universo musulmano non ha potuto emergere e prendere corpo alcun tentativo di rivoluzione delle idee simile a quella dell’Illuminismo. Se ne sono esistiti, sono rimasti confinati in ambienti chiusi o sono stati rapidamente soffocati allo stato embrionale». Ma se fosse proprio questo il motivo per cui, oggi più che mai, i Lumi dell’Islam sono una speranza anche per l’Occidente?

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