lunedì 27 ottobre 2014
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«Questo piccolo film prova a raccontare un’altra storia, di vita e non di morte, di libertà e di luce, per far risalire in superficie, e far salire con noi, fino a farlo galleggiare, un pensiero nuovo».Le parole della regista, Donatella Altieri, offrono la chiave interpretativa del cortometraggio Francesco Padre, dedicato al peschereccio molfettese che nella notte fra il 3 e il 4 novembre del 1994, affondò nelle acque del Montenegro, portandosi giù le vite di cinque uomini e di un cane: il comandante Giovanni Pansini, 45 anni, Luigi De Giglio, 56 anni, Saverio Gadaleta, 45 anni, Francesco Zaza, 31 anni e Mario De Nicolo, 28 anni con il loro cane Leone. Le riprese, girate ad inizio ottobre al largo di Molfetta, sotto un cielo plumbeo intonato alla mestizia di una storia che non può essere archiviata come segreto di Stato, si compongono nel tentativo di cercare speranza in una storia di disperazione.«Dopo 20 anni – ci confida Maria Pansini, la figlia del comandante – il dolore è tutt’altro che sopito, soprattutto per non aver avuto i corpi a casa, cosa più dura e difficile da accettare. Nel 2011 ci siamo recati sul posto, niente più salme, divorate dal mare. Ci sono i resti del peschereccio da cui sono stati recuperati alcuni pezzi, uno con un foro di proiettile che è stato analizzato dai Ris. Aspettiamo che la Procura di Trani ci dia delle risposte e per farlo dovrebbero rispondere gli Stati, però nessuno ha dato risposte alle rogatorie internazionali». Sì, perché i cinque marinai furono dichiarati «colpevoli della loro morte» in quanto accusati di trasportare illegalmente esplosivo in zone di guerra. E così le vittime sono state trasformate in carnefici e le loro famiglie hanno dovuto rinunciare al diritto di seppellire i propri cari, di ricevere dallo Stato un aiuto economico, prima riconosciuto e poi negato, di conoscere la verità e quindi al diritto di avere giustizia. Un libro inchiesta di Gianni Lannes, edito nel 2009 da La Meridiana, titolava Nato, colpito e affondato. La tragedia insabbiata del Francesco Padre sostenendo la tesi di una tragedia, simile a quella di Ustica, in cui il peschereccio si è trovato ad incrociare l’operazione Sharp Guard della Nato e ne fu tragicamente colpito e affondato nel mare, col tentativo di cancellare ogni traccia. Prodotto da Digressione, società di produzione cinematografica e discografica fondata e diretta da don Girolamo Samarelli, parroco alla Madonna della Rosa di Molfetta, e da Intergea, con il sostegno di Apulia Film Commission, il cortometraggio sarà presentato nella giornata commemorativa che si terrà il 4 novembre prossimo a Molfetta.«Il corto è il risultato di un percorso partito da anni di riflessione – ci dice don Girolamo, incontrato sul set – in cui ho sempre meditato sulla vicenda, nonché pregato e celebrato ogni anno, dal 1994, una messa in suffragio dei cinque marinai, ricordando il povero cane Leone. Di questa storia ho compreso l’ingiustizia e la fragilità della giustizia nonché il dolore silenzioso delle famiglie. Il Vangelo ci insegna a farci carico delle gioie e dei dolori, a mettere nei propri occhi gli occhi degli altri, nel proprio cuore il cuore degli altri, anche il loro dolore». Così don Samarelli fa sua quella che è una storia della sua terra, del suo mare, di una figlia, Maria Pansini, ora organista nella sua parrocchia; una storia emblematica di tante altre di marinai e la racconta utilizzando gli strumenti a sua disposizione, in quanto produttore discografico e cinematografico, oltre che prete, ricorrendo a quel formidabile connubio di arte e umanità. Prima una canzone, composta dal musicista Giovanni Chiapparino, poi il videoclip sulla stessa  e da lì «vedendo l’efficacia del racconto per immagini sulla canzone ho pensato che forse approfondire questo percorso poteva trovare nel cortometraggio un respiro maggiore». Non nasconde, don Girolamo, il sogno di un docufilm in cui raccontare una volta per sempre cosa accadde la notte fra il 3-4 novembre 1994.Accostarsi e provare a raccontare una storia vera e profondamente tragica come quella vissuta dai cinque uomini del Francesco Padre e dalle loro famiglie è stato per la regista Altieri, allo stesso tempo dolce e crudele: «Ho la sensazione di conoscere i cinque uomini perché ripetutamente ho incontrato mogli, madri, figlie e figli, fratelli e sorelle. Ed è da un bisogno così crudele, perché impossibile, che nasce questo piccolo racconto: se non posso incontrarli nella realtà, allora posso farlo nella finzione, posso costruire l’incontro con i cinque uomini e con il mare mettendoci i colori che voglio, le parole che sento più vere e i pensieri che più si avvicinano alle loro vite». Anche il vescovo della diocesi monsignor Luigi Martella si è unito alla corale richiesta di chiarezza: «La comunità cristiana locale, si pone a fianco di coloro che vogliono tener desta l’attenzione rispetto a questo luttuoso evento; partecipa con vivo senso di solidarietà al bisogno di chiarezza invocata dai parenti delle vittime e non solo; auspica che tutti possano avvertire l’imperativo morale della verità dei fatti».
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