Un carico di speranza per bambini e adulti con Sindrome di Down

Punta alla Vendée Globe, l'Everest delle regate, lo skipper Marin Carnot con la prima barca della Fondazione Lejeune intitolata allo scienziato cattolico co-scopritore della Trisomia 21
August 13, 2025
Un carico di speranza per bambini e adulti con Sindrome di Down
Fondazione Lejeune | Il giovane skipper Marin Carnot con i bambini della Fondazione Jérôme Lejeune
A vele spiegate nel nome di Jérôme Lejeune (1926-1994), pioniere della genetica moderna, co-scopritore della sindrome di Down e grande uomo di fede. È una sfida senza precedenti quella di Marin Carnot, giovane skipper di talento, 24enne, originario di Melbourne. Ha preso lui il timone della prima barca della Fondazione Lejeune, l’organizzazione che continua l’opera dello scienziato francese in favore delle persone con Trisomia 21 e delle loro famiglie. Gli studi di ingegneria e la passione per la vela hanno portato Carnot a girare il mondo con in testa i due sogni da bambino: le regate oceaniche e aiutare il prossimo a non arrendersi mai. Con questo spirito ha deciso di intraprendere un’avventura fuori dal comune: far conoscere l’opera di Lejeune solcando i mari. Fino all’impresa più difficile la Vendée Globe, la circumnavigazione completa della Terra in solitario, senza possibilità di attracco o di assistenza esterna (pena l’esclusione) con arrivo e partenza dal porto francese di Les Sablesd’Olonne, nel dipartimento della Vandea (Vendée). Un’iniziativa lanciata nel 1989, che dal 1992 si disputa ogni quattro anni. L’impavido Marin punta all’edizione del 2032. Dopo il battesimo della barca con i colori della Fondazione, anche la prima brillante gara, la Fig’Armor. Ora tanti allenamenti in vista del primo grande appuntamento, il Solitaire du Figaro del 2026, un banco di prova del-la Vendée, la regata che per la sua durezza è stata soprannominata l’Everest dei mari.
«Ci sono meno persone che l’hanno completata rispetto a quelle andate sullo spazio – spiega senza paura Carnot – Se il record è di 64 giorni, di solito ci vogliono 80- 90 giorni per completare questo viaggio, senza alcun contatto fisico con il resto del mondo. Ma questa solitudine fa parte di ciò che mi attrae. Il mare è dove mi sento più a casa». Una passione scoperta a 10 anni e diventata sempre più forte: «Con i miei 2 metri, le barche piccole non facevano per me! Per trovare una “barca che mi andava bene” bisognava puntare in grande». Più volte campione di Francia nella categoria 505, Carnot ha lavorato quasi un anno anche al fianco di Damien Seguin, lo skipper campione paralimpico che ha concluso la Vendée pur senza una mano. Un modello di ispirazione per andare oltre lo sport: «Ciò che mi spinge - dice Marin – è testimoniare agli altri di non aver paura. Non dobbiamo aver paura di essere diversi, di sognare in grande anche quando la società dice che alcune cose sono impossibili».
Un messaggio in linea con la Fondazione e l’Istituto Jérôme Lejeune, che da oltre venticinque anni lavora per migliorare la vita delle persone con Sindrome di Down. Negli anni Cinquanta, affiancato da due colleghi, Lejeune scoprì come la sindrome sia dovuta ad un cromosoma 21 in eccesso, quando sino ad allora si chiamavano in causa sifilide, alcolismo o persino immoralità dei genitori. Si buttò a capofitto in questa ricerca e i suoi studi portarono anche allo sviluppo di test prenatali, usati per individuare la sindrome nei feti, molti dei quali, per motivi eugenetici, vengono abortiti volontariamente. Denunciò questo abuso come “razzismo cromosomico” e venne fortemente ostracizzato dalla comunità scientifica internazionale. Negli anni Ottanta gli furo-no tagliati i fondi per la ricerca e i suoi collaboratori licenziati. Ma ribatteva: «Non è commettendo un crimine che si protegge qualcuno da una disgrazia. E uccidere un bambino è semplicemente omicidio. Non si dà sollievo al dolore di un essere umano uccidendone un altro. Quando la medicina perde tale consapevolezza, non è più medicina». Per la sua contrarietà all’aborto e a ogni forma di sperimentazione sull’embrione gli fu negato anche il Nobel. Ma nonostante le pressioni e le ritorsioni tirò dritto. Viaggiò in tutto il mondo per testimoniare davanti ai Parlamenti, alle assemblee degli scienziati e ai mass-media che la vita va difesa e amata sempre e ovunque, tanto più da un medico.
Cattolico, marito e padre di cinque figli, cercò sempre di mostrare l’armonia tra scienza e fede. Stimato da Paolo VI e Giovanni Paolo II che nel 1994 lo nominò primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, Lejeune è morto a Parigi (Francia) il 3 aprile 1994, giorno di Pasqua, all’età di 68 anni, colpito da un cancro fulminante. Aperta la causa di beatificazione e canonizzazione, nel 2021 è stato dichiarato venerabile. Un grande incoraggiamento per la sua Fondazione a proseguire il suo lavoro, perché come diceva lui «la qualità di una civiltà si misura dal rispetto che ha per il più debole dei suoi membri». Una missione raccolta ora dallo skipper Carnot impegnato anche nella ricerca degli sponsor. Lui chiama a raccolta tutti gli uomini di buon cuore perché in mare come nella vita, le sfide più difficili non possono mai essere superate da soli. «Attraverso questo progetto voglio dimostrare che un sogno non è mai più bello di quando è condiviso, e che ogni chilometro percorso può contribuire a portare avanti una causa essenziale. Come diceva Lejeune: “Il compito è immenso, ma lo è anche la speranza”».

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