martedì 26 febbraio 2019
Gli antieuropeisti hanno saputo usare l’arma dei social. Ma i limiti di Bruxelles non giustificano le bugie sulla moneta unica. Ecco i rischi di un’autarchia monetaria, dal nuovo libro dell'economista
Tutte le menzogne della propaganda anti euro
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Le scienze economiche e sociali sono diverse dalla fisica. I loro oggetti (fondamentalmente esseri umani) infatti non si muovono senza libero arbitrio e secondo leggi prestabilite, ma sono creature raziocinanti che determinano il proprio agire in base agli obiettivi che si sono dati, rispondendo alle regole di convivenza che definiscono il loro campo di gioco. E opinioni, valori, ideali sono un ingrediente fondamentale nei loro comportamenti. Opinioni, valori, ideali che da sempre sono influenzati e plasmati dal dibattito che avviene nell’opinione pubblica. I mezzi attraverso cui si alimenta questo dibattito e le connesse strategie di comunicazione assumono oggi un’importanza fondamentale, perché in grado di distorcere la percezione delle variabili decisive (il tasso d’inflazione, il numero di stranieri nel Paese) influendo dunque sulle scelte dei cittadini e producendo effetti economici non giustificati dal valore reale delle variabili stesse.

L’antieuropeismo trova fondamento nei limiti e nei problemi dell’Unione europea che tutti conosciamo, a partire da i balbettii delle istituzioni europee all’indomani della crisi finanziaria globale. Ma la sua crescita quasi inarrestabile degli ultimi anni, attraverso il mito palingenetico dell’uscita dall’euro, è stata abilmente costruita e progettata, grazie a una campagna di comunicazione ben strutturata che ha saputo in modo spregiudicato usare strumenti nuovi, con una strategia di cui oggi iniziamo a comprendere caratteristiche e contorni. È un po’ come se negli ultimi anni si fosse combattuta una guerra tra un esercito che utilizza frecce e spade contro uno che ha introdotto per la prima volta le armi da fuoco.

Il confronto è stato impari: l’arma da fuoco dell’esercito della propaganda antieuropeista è stata l’utilizzo pervasivo dei social per diffondere il proprio messaggio, creando una formidabile tribuna virtuale. L’antieuropeismo ha saputo per primo utilizzare questi nuovi canali in modo efficace, applicandovi una strategia vecchia ma sempre valida, che si rifà al metodo di propaganda stilato dal gerarca nazista – e ministro, appunto, della Propaganda – Goebbels. Rileggere oggi gli undici principi che lo compongono e confrontarli con quanto abbiamo visto all’opera in questi ultimi anni sui social fa una certa impressione. Secondo il principio numero sei, la propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentandole sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze perché: «Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità».

Per capire di quali menzogne (o false/mezze verità) parliamo nel nostro caso bisogna tornare ai capisaldi del pensiero no euro. Menzogna numero uno: con l’euro l’unica via per competere è quella della deflazione salariale e ciò spiega il declino della classe media. Falso: si può competere migliorando l’efficienza del sistema-Paese, combattendo veramente l’evasione fiscale e riportandola ai livelli degli altri Stati membri europei; esistono realtà all’interno dell’eurozona che sono prospere, competitive e con salari più alti dei nostri. Siamo per opinione comune un Paese ricchissimo di biodiversità naturale, giacimenti di turismo e cultura, capacità imprenditoriali e innovative. Ci areniamo sull’architettura del sistema che disperde queste enormi capacità e potenzialità. Menzogna numero due: con il ritorno alla lira le esportazioni italiane aumenteranno e il Pil crescerà. Le esportazioni vanno già benissimo e nelle filiere globalmente integrate della produzione di oggi l’effetto di una svalutazione del cambio non è così chiaro. Bisogna mettere sul piatto della bilancia il potenziale impatto negativo di un aumento del costo dei beni importati.

Menzogna numero tre: una volta recuperata la sovranità monetaria sarà possibile stampare tutta la moneta di cui abbiamo bisogno per sostenere il deficit pubblico. Falso (è la menzogna probabilmente più insidiosa). Se la sovranità monetaria fosse la bacchetta magica e bastasse stampare moneta per risolvere qualunque problema, perché la storia economica e monetaria è costellata di fallimenti di Stati sovrani? La ricchezza non è il numero di banconote che una Zecca di Stato stampa, ma la somma delle competenze e della capacità di fare dei cittadini: è questo che genera fiducia in quei pezzi di carta, perché a essi corrispondono beni e servizi.

Menzogna numero quattro: la sovranità monetaria ci ridarà autonomia e libertà di manovra nelle scelte di politica monetaria e fiscale. Falso (anche se intuitivamente sembrerebbe incontrovertibile). Perché, nella competizione globale tra Paesi, le attività finanziarie (titoli pubblici) emesse dai Paesi “più deboli” (come il nostro) devono comunque offrire rendimenti maggiori di quelle emesse dai Paesi egemoni. E dunque ogni volta che questi ultimi decidono di aumentare i tassi d’interesse, noi dobbiamo seguire. Senza unione monetaria non avremmo alcuna voce in capitolo sulle loro scelte.

Menzogna numero cinque: l’Italia può fare a meno degli investitori esteri. Falso: la posizione netta sull’estero dimostra che il nostro benessere si fonda sulla possibilità di risparmiatori e imprese di usare le proprie risorse monetarie per comprare attività estere. Una situazione di autarchia nella quale i movimenti in entrambe le direzioni fossero ridotti o preclusi avrebbe un impatto devastante. E puntare sul “patriottismo” dei risparmiatori italiani è un azzardo privo di senso.

Quello che abbiamo raccontato in questo breve capitolo può indurre un senso di rigetto verso le tribune social e i nuovi mezzi di comunicazione in Rete. Gettare il bambino con l’acqua sporca, tuttavia, sarebbe sbagliato. Nonostante le dittature abbiano utilizzato radio, televisione e organi di stampa come megafoni della propaganda, non abbiamo mai pensato che la soluzione fosse liberarcene. Abbiamo, invece, trovato modi e vie per renderli più liberi e democratici. I social possono essere uno straordinario strumento di trasmissione di contenuti, una rassegna stampa concentrata ed efficace, un canale per condividere, chiamarsi a raccolta, una straordinaria palestra di dialettica dove è possibile cogliere gli umori di chi è più distante da noi (quando si tratta di persone vere) e capire il modo in cui ragiona. Per un politico, per esempio, sono un laboratorio incredibile per testare gli umori dell’elettorato. Il discorso di fine anno 2018 del presidente Mattarella, un intervento bellissimo ispirato ai concetti di giustizia sociale, solidarietà e integrazione europea, è andato in onda come sempre sulla rete uno della tv nazionale, ma il video è stato diviso in tante piccole parti e trasmesso su Twitter dall’account ufficiale del Quirinale proprio mentre il presidente parlava in televisione. Il risultato è stato eccezionale in termini di milioni di contatti e di like. Bisogna imparare a usare il nuovo mezzo per trasmettere i contenuti migliori.

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