lunedì 7 maggio 2012
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Spesso i viaggi più lunghi e tortuosi sono quelli dentro se stessi. Per ritrovarsi, la Juventus ha impiegato sei anni, il tempo che divide Rimini da Trieste, la Serie B dallo scudetto di ieri, il sole appiccicoso di un’estate romagnola dai riflessi di luna su un campo fradicio di pioggia. In mezzo c’è il labirinto delle periferie del calcio, da Crotone a La Spezia, la fuga delle stelle Ibrahimovic e Cannavaro, la rabbia di sentirsi snobbata come una signorina sfiorita.Per recuperare la silhouette di un tempo, per ritrovare il sorriso degli specchi, non bastava una vittoria, ci voleva l’impresa. Quella che i bianconeri di Conte hanno consegnato agli archivi del calcio: 37 partite e zero sconfitte, una difesa da record con appena 19 gol subiti, la capacità di comandare il gioco, sempre e ovunque. Anche di fronte ad avversari oggettivamente più forti, come il Milan, l’Inter, forse il Napoli. Perché quello sancito dal successo contro il Cagliari non è solo lo scudetto numero 28, o 30 come sostengono i suoi tifosi, ma una luce che si riaccende, l’orologio che riporta indietro le lancette del tempo, la gioia e l’orgoglio del ritorno a casa. Il grande merito di Pirlo e compagni in fondo è stato soprattutto quello di aver restituito ai suoi tifosi l’orgoglio dell’appartenenza e al campionato una protagonista con cui arrabbiarsi e polemizzare. Per riuscirci bisognava puntare sulla juventinità, cioè quello strano mix di signorilità e rabbia "proletaria" che fanno della "vecchia signora" la più nobile delle regine plebee, la più popolare delle bellezze aristocratiche. Ci volevano bianconeri doc come il condottiero Conte, il guerriero Vidal, quello stralunato genialoide di Vucinic. Serviva la fedeltà alla causa di campioni assoluti come Buffon, come Del Piero, passati attraverso il deserto della B e dell’indifferenza, senza mai fughe e tradimenti.La festa scattata domenica notte è soprattutto loro e di chi, come loro, ha continuato a credere che il bianconero restasse un abito elegante, da serata di gala, anche quando gli inviti a cena non arrivavano più. E spiace che proprio sul più bello Del Piero sia al passo d’addio. Lo aspettano altri prati verdi, probabilmente negli Stati Uniti. «Se se ne andrà indosserò io la maglia numero 10» si è lasciato sfuggire Buffon. Giusto così. Perché le bandiere, quelle vere, non possono essere ammainate, troveranno sempre un cielo in cui sventolare, anche quando fuori non c’è un filo di vento.
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